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Beato dell'onore di rinnovare a un dipresso le gesta di Orazio Coclite, cavalcai frettoloso contro il nemico, lusingandomi di rispondere degnamente alla superlativa fiducia del generale. Però gli amici miei, testimoni del comando ricevuto, probabilmente appartenevano a quella scuola storica che considera il Coclite, lo Scevola, il Curzio ed altri di codesta risma, figure simboliche dell'et

Appena il principe della Marsiliana comparve nella sala bassa dell'osteria ornata sulla parete principale di un affresco raffigurante Muzio Scevola con la mano sull'ara, e su quella di fondo, di un teatrino, la sora Lalla alzò la mano, il capo della banda collocata sul palcoscenico dei burattini brandì il bastone del comando, e le trombe intonarono la rumorosa marcia dell'Aida.

Si tratta di una cosa molto più difficile a dirsi. Me la dica subito, insistè il principe senza turbarsi; sono preparato a tutto. Senta, il sor Domenico, l'oste di Muzio Scevola, dice che se stasera non viene la principessa insieme con lei, i voti del Trastevere le saranno per la massima parte negati.

Ogni momento entrava rumorosamente nel cortile una botte e scendeva da quella o il sor Domenico, l'oste di "Muzio Scevola", o Scortichino, l'oste del San Francesco a Ripa, o un altro popolano elettore del principe, e il principe riceveva tutti senza far fare anticamera a nessuno, era prodigo di strette di mano, di sorrisi, di incoraggiamenti, che inorgoglivano quei plebei ai cui occhi il principe ingigantiva, perchè provavano il bisogno di inalzarsi essi pure per opera di lui.

Vorrei essere il primo a descrivere questo curioso fatto, perchè, a dirla fra noi, è troppo bello che un principe del Sacro Romano Impero, un grande di Spagna, vada da Muzio Scevola!

Dinanzi all'osteria di Muzio Scevola, in Trastevere, sventolavano un sabato sera le bandiere tricolori e quelle gialle a rosse del Comune di Roma, e dalle finestre delle casupole vicine pendevano tralci di lauro, ai quali erano appesi i lampioncini di più colori, pronti per la illuminazione.

Giunto al caffè Aragno, Fabio cercò subito con l'occhio i conoscenti con i quali soleva passare la serata, per narrar loro la cena elettorale da "Muzio Scevola". Scorse in mezzo ad essi Caruso, che con il solito aspetto di satiro sonnecchiante, parlava senza scomporsi e facevasi ascoltare.

Nell'anima dei due però, che si lanciavano a morte quasi sicura, v'era la devozione eroica dei Leonida e dei Muzio Scevola.

Quel nome di osteria faceva ribrezzo anche a don Pio e non poteva pronunziarlo. E dove? domandò la principessa, alzando in volto al marito due occhi piccoli e fieri. Da Muzio Scevola. E che luogo è? Una locanda, dove mi danno una cena elettorale. Non ci vengo.

Grida diverse partirono dalla folla, che ingombrava prima la terrazza e che ora si era spinta fino nella sala e occupava tutto lo spazio dinanzi all'affresco di Muzio Scevola; alcune di approvazione e altre di disapprovazione. Scortichino, il Simonetti e il sor Domenico sopratutto accennarono a quegli strilloni di far silenzio e il capobanda fece intonare l'inno di Garibaldi per porre fine al tumulto, che minacciava farsi serio. Appena ristabilita la calma, don Pio posò il tovagliolo ed alzatosi, senza guardar nessuno in faccia e a voce bassa, incominciò a parlare, dicendo: "Porto un gran nome, è vero, ma le mie simpatie sono per il popolo, poichè io stimo e rispetto chi lavora, e ho viva ammirazione per quelli che sostengono, giorno per giorno, ora per ora, la lotta per l'esistenza. Se voi, che siete qui adunati, volete concentrare sul mio nome i vostri voti, assicuratevi che avrò a cuore i vostri interessi più dei miei. Nulla mi lega al passato: simpatia, vincoli di famiglia; tutto invece mi spinge verso l'avvenire, che è rappresentato, specialmente qui a Roma, dalla forte, onesta e patriottica popolazione del Trastevere. L'avvantaggiare gl'interessi materiali e morali di questo rione, sar