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Passarono i quattro Scarlinesi, per tornare alle case loro, dalla Torre di Partiglioni, e visto presso l'innocente cannone, utensile obbligato delle torri di costa, volevano in segno di festa a ludibrio dei cannonieri e del loro governo, gettarlo in mare.

Si rivolse commosso ai tre Scarlinesi che lo stavano ammirando, e disse loro: «Non vi è nulla che possa ricompensare ciò che ho ricevuto da voi, ma spero di ritrovarvi a tempi miglioriRispose Olivo Pina, commosso egli pure, e a nome di tutti: «Un pizzo della vostra pezzuola basta a ciascuno di noi lo lasceremo come ricordo ai nostri figliuoli; avevamo per unico scopo salvarvi e conservarvi all'Italia, e volentieri veniamo con voi fino a Genova, se lo voleteAssentirono gli altri due, e il Carmagnini insisteva sulla proposta di accompagnarlo, ma il Generale riprese: «No, nel mare non temo alcuno: ci rivedremoPotenza singolare di quell'uomo che, se lo avesse voluto, avrebbe fatto quattro marinari di quei giovani incontrati poche ore fa, e che non avevano mai veduto il mare se non dalla costa.

Risposero: «Il paese ha mille abitanti, e si può contare su tutti i giovani, ma venti almeno ci seguono, chè altrettanti sono tornati da poco, ed erano volontarî del governo di GuerrazziAllora il Capitano si avvicinò a Garibaldi, e gli disse con fuoco: «Generale, ricominciamo di qui?» E i quattro Scarlinesi stavano pronti ad aspettare gli ordini.

Intese Garibaldi, e sorridendo dette uno sguardo a Leggero, e stava in quello sguardo la più bella lode pei coraggiosi Scarlinesi. Così percorsero Val Lunga, e giunsero sulla Collacchia, o crine del poggio, che per l'altro declive termina con Cala Martina.

Allora il Generale, quando era ancora pochi metri lontano dalla spiaggia, mandò agli Scarlinesi, come ultimo saluto, il grido maschio e vibrato: «Viva l'ItaliaEra sfida alla tirannide che lasciava padrona del campo vaticinio di destini migliori saluto ai patriotti che nel nome della patria derelitta avevano spregiati i pericoli per dare a lui salvamento.

Presero una zuppa i due esuli, e avanti di partire cambiarono il loro vestito coi fratelli Lapini, cioè Garibaldi con Giulio, e Leggero con Riccardo, e disse il Leggero che così avevano fatto diverse volte durante il loro trafugamento, unica misura di sicurezza che era stato possibile far prendere al Generale. Erano le 5, ora stabilita per la partenza, ed essendo riuniti nel salotto della casa Guelfi gli esuli, i fratelli Lapini, e i quattro Scarlinesi, Giulio si rivolse al Garibaldi, e gli disse come buon augurio: «Sapete, Generale; oggi abbiamo letto nei giornali a Massa che eravate a Venezia in compagnia di Manin e del generale Pepe, e ne abbiamo riso di cuore, perchè nessuno vi sospetta quiPoi gli accennò ai quattro Scarlinesi come giovani a tutta prova, dicendogli: «E ora vi consegno in mano di amici tali quali avete incontrato fin quiGaribaldi e Leggero abbracciarono e baciarono i fratelli Lapini, e li pregarono di ringraziare a loro nome Angiolo Guelfi per l'ospitalit