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Avendo tu servito a una, te hai due persone obligato; e certo di noi ben contento ti terrai. FANNIO. Maggior contento aver non posso che vivo e con Santilla vederti. SANTILLA. Ché cosí fisso guardi, Fessenio caro? FESSENIO. Ché non vidi mai omo ad omo simile come è l'uno all'altro di voi. Ed or vedo la cagione per che seguíti son oggi tanti begli scambiamenti. SANTILLA. Vero di'.

Laonde Fulvia è ora in passione e in furia tale che quiete alcuna non trova: e ora ricorre a maliastre, ad incantatrici, a negromanti che ricuperare le faccino lo amante suo come se perduto l'avesse; e ora me e quando Samia sua serva, conscia di tutto, manda a lui con preghi, con doni e con promessa di dare per moglie al suo figliuolo Santilla, se mai avviene che la si trovi.

FESSENIO. Calandro, marito di Fulvia tua amorosa e padrone mio posticcio, che castrone è e tu becco fai, mentre che tu, li passati, da donna vestito, Santilla chiamatoti, andato da Fulvia e tornato sei, credendo che tu donna sia, si è forte di te invaghito e pregatomi che io faccia che egli ottenga questa sua amorosa: la qual sei tu.

Della quale fieramente accesosi, con Calandro suo marito misse me per servo per condurre a fine lo amoroso suo disio: come subito condussi con satisfazione di lei; perché ella, di lui grandemente ardendo, di bel mezzo giorno, ha piú volte fatto andare a sollazzarsi seco Lidio vestito da donna Santilla chiamandosi.

CALANDRO. Certo, no, ch'io non la veggo. FESSENIO. Cosí non si vede la morte, quando si muore. CALANDRO. Perché si è fuggito il facchino? FESSENIO. Per paura della morte: che temo che a Santilla oggi andar non potrai. CALANDRO. Morto son se oggi con lei non sono. FESSENIO. Io non saprei in ciò che farmi: se giá tu non pigliasse un poco di fatica.

E ben ho fatto a bastemiar quella perché questa qua è Santilla mia, non quella. Buon ... volsi dir, buona sera. In fede mia, la non è dessa: m'ingannavo. La è questa qui. Mai non è. Ella è pur quella: lassami ire da lei. Anzi, è pur questa. Parole! Ell'è quella. Or questa è la vita mia. Anzi, è pur quell'altra. Anderò da lei. LIDIO maschio. Pillera!

Ma la piuma è cascata nella pania. CALANDRO. O Fessenio! Fessenio! FESSENIO. Chi mi chiama? Oh padrone! CALANDRO. Hai tu vista Santilla? FESSENIO. Ho. CALANDRO. Che te ne pare? FESSENIO. Tu hai gusto. In fine, io credo che 'l fatto suo sia la piú sollazzevol cosa che si trovi in Maremma. Fa' ogni cosa per ottenerla. CALANDRO. Io l'arò, se io dovessi andar nudo e scalzo.

MERETRICE. Lassa pur governallo a me. FESSENIO. Fa' che, sopra tutto, tu ti ricordi, nota, di chiamarti Santilla e di tutte l'altre cose che io t'ho detto. MERETRICE. Non mancherò d'un pelo. FESSENIO. Altrimenti non aresti un baghero. MERETRICE. Tutto farò benissimo. Ma oh! oh! oh! Che voglian questi sbirri dal facchino? FESSENIO. Oimè! Salda, cheta! Ascolta. SBIRRI. Di' : che è qui drento?

SANTILLA. Tua sorella sono; e tu mio fratel sei. LIDIO. Tu sei Santilla mia? Or ti conosco: dessa sei. Oh sorella cara, da me tanto desiderata e cerca! Or son contento; or ho adempiuto il desiderio mio; or piú affanno avere non posso. SANTILLA. Deh, fratel dulcissimo! Io pur te vedo e sento. A pena creder posso che tu desso sia, vivo trovandoti ove io per morto lunga stagion te ho pianto.

SANTILLA, FESSENIO servo, LIDIO, FANNIO servo. SANTILLA. Eh! Fessenio, dov'è mio fratello? FESSENIO. Vedilo , ancor con li panni che tu li desti. Andiamo a lui. Lidio, conosci tu costei? LIDIO. Non certo. Dimmi chi ella è. FESSENIO. Quella che, in tuo loco, con Fulvia rimase; quella che tanto hai cercato. LIDIO. Chi? FESSENIO. Santilla tua. LIDIO. Mia sorella?