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Era Agostino Ruffini, uno dei tre che mi furono più che amici, fratelli, morto anni sono, lasciando perenne ricordo di , non solamente fra gli Italiani, ma tra gli Scozzesi che lo conobbero esule e ne ammirarono il core, l'ingegno severo e la pura coscienza. Eravamo davanti alle carceri di Sant'Andrea.

Lasciai la Ruffini ignara delle intenzioni. Essa era generalmente ammutolita dal dolore e non mosse quasi parola. «Nelle ore ch'ei passò meco, sospettai ch'ei fosse spronato più da una sfrenata ambizione di fama che non dal senso d'una missione espiatoria da compiersi.

Firmarono quei due atti, per gli Italiani, L. A. Melegari, Giacomo Ciani, Gaspare Rosalez, Ruffini e Ghiglione con me: altri pei Polacchi e pei Tedeschi. Poi, parecchi tra noi s'allontanarono per varie direzioni. Rosales partì pei Grigioni, Ciani per Lugano, Melegari per Losanna, Campanella per Francia , attivi tutti nel diffondere l'Associazione.

Superbia per superbia, teniamoci quella del sapere qualche volta la lingua degli altri, del potere dare, col Mazzini e col Ruffini, degli scrittori all'Inghilterra, col Fiorentino e con altri parecchi, alla Francia. Qualche volta abbiam fatto di più, dando ai nostri vicini degli uomini di Stato, come il Mazzarino, degli imperatori, come il Buonaparte, dei dittatori, come il Gambetta.

Più dopo quella prima tempesta si racquetò; e diè luogo a men travolti pensieri. L'amicizia ch'io strinsi coi giovani Ruffini ed era per essi e per la santa madre loro un amore mi riconciliò alla vita e concesse sfogo alle ardenti passioni che mi fermentavano dentro.

Non m'allungherò gran fatto ad anatomizzare le conseguenze di questi dubbi su me: dirò soltanto ch'io patii tanto da toccare i confini della follìa. Io balzava la notte dai sonni e correva quasi deliro alla mia finestra chiamato, com'io credeva, dalla voce di Jacopo Ruffini. Talora, mi sentiva come sospinto da una forza arcana a visitare, tremante, la stanza vicina, nell'idea ch'io v'avrei trovato persona allora prigioniera o cento miglia lontana. Il menomo incidente, un suono, un accento, mi costringeva alle lagrime. La natura, coperta di neve com'era nei dintorni di Grenchen, mi pareva ravvolta in un lenzuolo di morte sotto il quale m'invitava a giacere. I volti della gente che mi toccava vedere mi sembravano atteggiarsi, mentre mi guardavano, a piet

Ufficiali e soldati guardavano con favore la nostra mossa e cedevano facilmente alle istanze semi-minacciose dei cittadini. Tutti i nostri si raccolsero al convegno e s'armarono. Rimasi l'ultimo in Ginevra per dirigere la mobilizzazione, poi, la sera, in un battello ch'era stato giudicato inservibile, traversai coi Ruffini e uno o due altri il lago e mi recai al campo dei nostri.

I due Ruffini, Ghiglione e io ci ricovrammo nel Cantone di Soletta, in Grenchen, nello Stabilimento di Bagni tenuto dai Girard, ottima famiglia d'amici, nella quale uomini e donne gareggiavano verso noi di cure protettrici e gentili. Così dispersi, riuscivamo ad allontanare la tempesta e scemare terrori e noje al Governo Centrale.