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Il di giugno l'Oudinot alla lettera ingenua del generale Roselli, con la quale chiedevagli una proroga dell'armistizio per dare modo allo esercito della Repubblica romana di battere l'esercito austriaco, rispondeva «che gli ordini del suo governo gli prescrivevano di entrare in Roma al più presto; di avere gi

Importava alla Giunta Suprema di parare a quell'urgente pericolo; laonde deliberava di mandare il Colonnello Roselli a combattere il brigantaggio ascolano; nello stesso tempo chiamava Garibaldi a Rieti, con l'incarico di guardare quel confine verso Napoli, e di concertarsi con Roselli per soffocare la nascente reazione; Garibaldi ubbidiva; e per Tolentino, Foligno, Spoleto, arrivato verso la fine di gennaio a Rieti, si accinse senz'altro all'opera; e, quantunque il mandato fosse arduo e richiedesse severe punizioni, tuttavia il temuto condottiero non lasciò in quei luoghi alcun ricordo di ferocia, alcuna traccia di sangue innocente.

Il Bassi trovò il Roselli a Valmontone gli fece l'ambasciata di cui era incaricato, usò di tutta la sua fervida eloquenza nel dipingere la situazione perigliosa dell'avanguardia; ma s'ebbe in risposta «dover prima aspettare che la truppa avesse consumato il rancio, poi si sarebbe mossa». Fortuna volle che alcuni corpi della seconda brigata, tra cui i bersaglieri Lombardi, accorressero da stessi al tuonar del cannone, onde Garibaldi man mano che arrivavano poteva condurli a riparare le file stremate dell'avanguardia.

Un quarto d'ora prima delle tre, gli viene in mente che ha da far visita all'avvocato Roselli, per certa sua causa civile, e tosto si mette in cammino; ma strada facendo, viene a passare per piazza Nova e, senz'altro, infila le scale del suo portone e arriva davanti all'uscio del proprio studio.

Il generale Roselli, come era debito suo, trasmise la proposta di Garibaldi al Ministro della Guerra, esponendo le difficolt

Il governo Romano richiamò a Roma il Roselli col grosso delle forze; e lasciò Garibaldi con una brigata coll'incarico apparente di liberare i confini dalle masnade dello Zucchi, ma con quello reale di tentare l'impresa dell'insurrezione del Regno di Napoli.

L'esercito nemico, fortificato nell'antica Velitre dei Volsci, aspettò di piè fermo l'avanguardia dell'esercito republicano, il cui oggetto non era d'attaccarlo, ma di non lasciarlo fuggire, siccome annunziavano tutte le informazioni raccolte per via, e non credendo che il grosso dell'esercito nostro comandato dal generale in capo Roselli potesse tanto ritardare.

Garibaldi lo ragguagliò di quanto era avvenuto e condusse il generale in capo al luogo che gli era servito da osservatorio in casa Blasi, e gli mostrò i preparativi dei Napoletani per una precipitosa ritirata, concludendo col fargli questo piano: «Egli, Garibaldi, si getterebbe ai fianchi del nemico fuggente; il Roselli coll'artiglieria del Calandrelli, la linea e i carabinieri della riserva resterebbe a difendere la posizione espugnata e appoggerebbe l'attacco».

Convinto di questo, Garibaldi mandò il capitano David, un animoso Bergamasco, tanto aitante della persona come caldo di parola, a sollecitare ancora una volta il soccorso dal Roselli. E il David, divorata la via, trovò il generale in capo, che seguito da tutto il suo stato maggiore, alla testa di circa cinquemila uomini marciava alla volta di Velletri.

E romani erano non solamente i capi nominati finora, ma i due Galletti, Bartolucci, i colonnelli Pinna, Amedei, Berti Pichat, il generale in capo Roselli, i capi dell'intendenza Gaggiotti e Salvati, i principali impiegati nel ministero dell'armi. Quali dunque erano gli stranieri? Garibaldi e la sua legione: 800 uomini. Arcioni e la sua legione degli emigrati: 300 uomini.