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I più vecchi ricordavano ai più giovani che tale grido voleva dire una rivolta: e una rivolta di forzati e reclusi poteva avere delle conseguenze terribilissime. Mentre si svolgeva nelle camerate il concetto di limitarsi a una protesta individuale, si sentirono dei gemiti e delle voci strazianti che uscivano dai banchi di rigore. Il fuori! fuori! fu un fatto compiuto.

Quante volte, durante la passeggiata, abbiamo sentito gli inquilini dei cubicoli prorompere in pianti dirotti! Nella muraglia che taglia il cortile, è un pozzo chiazzato di verde. Le due diane dipinte sul muro sono gli orologi solari dei reclusi. L'una segna il corso del sole dalle 7 del mattino a mezzogiorno, ed ha per epigrafe: Sic mea vita fugit!

Nei lavorerii in comune avveniva, per esempio, che i reclusi dovevano tacere e i forzati potevano scambiarsi delle parole sottovoce. Il direttore, per impedire che si mancasse di rispetto al regolamento, fece affiggere un ordine del giorno il quale ingiungeva di farla finita col chiasso. Forzati e reclusi lo stracciarono.

Le mani dei galeotti irruppero negli applausi e le loro bocche incominciarono a gridare: Viva l'Italia! Viva l'Italia! Ai reclusi venne fatto lo stesso discorso e anche nelle loro camerate risonarono i battimani e il: Viva l'Italia! I soldati rimasero nel reclusorio tre giorni e i caporioni passarono sotto consiglio e andarono ai banchi di rigore per qualche mese.

Nella quinta camerata entrammo il 27 giugno 1898. È al primo piano. Vi si sale curvando la testa nel buco di un enorme cancello di ferro, la cui porticina è aperta e chiusa a chiave a ogni passaggio di forzati e di reclusi da un cerbero negli abiti di guardia carceraria. Col piede nell'antiporto che mette nell'intimit

Due giovani cuori che si amano, si trovano tanto bene in una capanna.... Figuratevi poi in un canestro! Era giorno di mercato. I due reclusi rividero la luce, furon tratti sulla piazza e posti in vendita al miglior offerente.

³⁰⁹ Atti del Senato a. 1788-89, p. 63. ³¹⁰ Ne aveva 4 grani il giorno. E che le carceri ogni anno venivano sfollate di un centinaio di reclusi, o per grazia di libert

Lungo l'asse che correva al dorso della parete erano parecchi panettoni. Furono dessi che incominciarono a dar vita alla conversazione. Che cosa ce ne facciamo? Non possiamo mangiarceli tutti. E se ne dessimo uno ai poveri forzati? I reclusi del maggio ricevono qualche cosa, hanno forse ricevuto tutti qualche cosa.

La questione del malcontento generale non era mica limitata al «silenzio». I reclusi si lamentavano anche per altre cose. Essi dicevano, per esempio, che era antiumano e contrario all'igiene affollare i tavolati delle camerate di ottanta pagliericci. «Dormivano l'uno addosso all'altro come bestieUno mi si raccontava che avesse avuto bisogno di sputare di notte, doveva mettersi sul sedere e sbattere l'espettorazione al di l

La guardia le scopre all'insaputa dei reclusi e li sorprende fuori di posto o a chiacchierare o a giuocare a dama colle pedine di mollica di pane. Di tanto in tanto la udite che ingiunge loro di stare quieti o zitti. Fate silenzio, voi, numero tale, se non volete andare in «camerella»!