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Fra le altre miserie Fausto non conosceva il nome della Contessa. Doveva mettere dei puntolini al posto del nome, nel suo sogno d'amore. Ma pazienza; purchè quel sogno si avverasse era anche disposto a chiamarla Contessa per l'ultima volta. Aspettò quella sera commosso, felice, impaziente. Ci andò troppo presto; ma doveva essere un altro disinganno.

Lavorerò, mi metterò da serva presso qualcheduno, andrò da manovale in giornata, farò di tutto, purchè me ne viva col

Noi vogliamo! E il Padre crollò un poco il capo, poi sorrise tra amaro e scherzoso; e continuò col medesimo tuono inesorabile: Lasciate pensare a cui tocca; noi rimedieremo, per quanto si possa, al mal fatto, purchè la vostra volont

Zio di Filippo, il conte Roberto Vagli, noiato, stanco, indifferente, si occupava poco degli affari altrui, e punto di ciò che faceva il nipote. Egli trovava tutto possibile, tutto giusto, tutto bene, purchè non gli si desse noia e non lo si disturbasse nelle sue abitudini.... Col libro in mano, un romanzo inglese, si volse ancora a Filippo: Ti fermi all'Albergo Reale? domandò.

Egli proponeva di far doppio lavoro, anzi di fare le parti di Frida, purchè la lasciassero in pace; ma la signora Harris diceva che nessuno della compagnia doveva mangiare il pane a tradimento, e se Frida non era buona di lavorare da sola, doveva rassegnarsi a fare gli esercizii assieme cogli altri.

Cittadini onesti e leali accettiamo, purchè guidi all'Unit

Alcuni dicono che il nemico concede altri otto giorni d'armistizio, purché sia occupato anche il dipartimento di Saone e Loire... Vedremo!

Non siamo forse noi che ridiamo pei primi d'una impertinenza che ci è detta da un avversario, purchè ci sia detta bene? E veda, signor mio, questa è virtù che a lei manca, poichè non ama lasciarsi discutere.

Ma qui c'è Santo, porca cagna! continuava picchiandosi il petto con la mano tutt'aperta: qui c'è Santo!... Ho certi progetti pel capo.... basta, purchè all'ultimo non mi facciate il minchione.

Erodoto veramente scrive che ne' suoi giorni si davano tredici d'argento per una d'oro; e Wilebrordo Snellio nel suo libretto De re nummaria raccoglie da piú autori che, quando i romani batterono la prima volta monete d'oro, le ragguagliarono a dieci per uno, mettendo in arbitrio degli etòli stessi il pagare in oro o in argento il tributo, purché per ogni libbra d'oro si valutassero dieci libbre d'argento.