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A pochi può essere ignoto Publio Cornelio Scipione, il distruttor di Cartagine. Fu egli nipote per adozione dell'altro che l'avea resa tributaria di Roma (e che noi, a distinzione del nostro, chiameremo sempre col solo prenome di Publio), ed era figliuolo di quell'Emilia da cui Perseo, il Re di Macedonia, fu gi

e lietamente l'uomo a le fatiche piega la forza de le membra sane, però che ride in cima de le spiche a l'uom l'augurio de 'l futuro pane. Guarda da l'alto su la rusticale opera il Sole, dio benigno e grande a cui sacro è ne' solchi ogni covone. E ne la pia letizia cereale per me la tua geòrgica si spande, o Publïo Vergilïo Marone.

Ma mandatovi il terzo, Publio Cornelio che è il grande, ei vi restituí e in breve vi fece soverchiar la potenza romana, e ridusse il paese a province; mentre Asdrubale ne partiva per Italia, e qui poi era sconfitto e morto, prima di raggiungere Annibale fratel suo.

PUBLIO, avo adottivo di Scipione. EMILIO, padre di Scipione. FOR. Vieni e siegui i miei passi, O gran figlio d'Emilio. COS. I passi miei, Vieni e siegui, o Scipion. SCI. Chi è mai l'audace Che turba il mio riposo? FOR. Io son. COS. Son io; E sdegnar non ti dei. FOR. Volgiti a me. COS. Guardami in volto. SCI. Oh Dei, Quale abisso di luce! Quale ignota armonia!

SCI. Giacchè al voler de' Fati L'opporsi è vano, ubbidirò. COS. Scipione, Or di scegliere è tempo. FOR. Istrutto or sei; Puoi giudicar fra noi. SCI. Publio, si vuole Ch'una di queste Dee... PUB. Tutto m'è noto: Eleggi a voglia tua. SCI. Deh mi consiglia, Gran genitor. EMI. Ti usurperebbe, o figlio, La gloria della scelta il mio consiglio.

E poi dice loro, che i goti hanno promesso di non più bruciare, di non uccidere, di non fare schiavi; si accontenteranno di prelevare dalla popolazione il necessario alla vita, nella loro grande marcia verso Roma. Il giovane monaco avvicinò l'agricoltore. Publio mio! gli disse, gettandogli le braccia al collo. Romano! Tutto, tutto perduto!

Ah qual rimbomba Per le sconvolte sfere Terribile fragor! Cento saette Mi striscian fra le chiome, e par che tutto Vada sossopra il ciel. No, non pavento, Empia Fortuna: invan minacci; in vano, Perfida, ingiusta Dea... Ma chi mi scuote? Con chi parlo? Ove son? Di Massinissa Questo è pur il soggiorno. E Publio? e il padre? E gli astri? e 'l cielo? Tutto sparì. Fu sogno Tutto ciò ch'io mirai?