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Le presentazioni furono fatte presto e poichè, come il Polverari amabilmente affermava, "in campagna non ci hanno da essere complimenti" anche la lieve soggezione, inevitabile a' primi momenti, dileguò al più presto.

Ancor maggiormente se ne dolse subito ne' giorni successivi, quando, avuta più intima conoscenza della famiglia, potè apprezzarne i modi elettissimi e giudicarne i sentimenti. La tristezza profonda che incombeva sulla casa dei Polverari era giustificata da un concorso veramente tragico di fatti luttuosi.

I discorsi però uscirono in breve da cotesta intonazione: il Polverari, togliendo adito dal piacere provato in quella giornata, accennò alla decisione da lui presa di prolungare, oltre al termine da prima divisato, il suo soggiorno a Morò-Casabianca.

E se nelle pagine della storia italiana è dato ragguardevole posto al nome di Gottardo Polverari, il gentiluomo fortissimo, morto con la stoica fermezza di un patriotta antico, vi si associa giustamente il pietoso ricordo di quella povera sposa ammalata e giovane, la quale, fra tanto imperversare di sciagure, era riuscita come per miracolo ad attingere una forza novella nel suo amore di madre.

Agnul timidamente ripetè la sua domanda. Fu in questo momento che una carrozza, la quale scendeva dal paese, s'incrociò con quella dei Sant'Angelo. E tosto una voce: quella di Alvise Polverari, ordinò vibratamente al cocchiere di fermarsi. Subito i cavalli si arrestarono e il conte Alvise, balzato a terra, s'affrettò premurosamente al carrozzino, in cui sedeva Loreta. Ella pure diretta a Moruzzo?

Mattia Sant'Angelo non volle porre un indugio troppo lungo nel recarsi a restituire la visita al conte Polverari, spinto a questo, assai più che da un mero riguardo di convenienza, dal sentimento di schietta simpatia che il forastiero avea fin dal primo momento destato in lui.

Ma Alvise Polverari al tocco di quella mano leale, che s'abbandonava alla sua senza sospetti, come in una attestazione fiduciosa di amicizia, provò un cordoglio profondo, di cui sentiva che non avrebbe potuto liberarsi mai più.

Mentre il Polverari faceva questo racconto, Loreta parve raccogliersi in un'attenzione profonda: i suoi occhi eransi assorti come attratti da un influsso magnetico nel volto di Alvise e, quando egli ebbe terminato la citazione dei versi, impallidì fortemente. Che avete, signora? domandò una delle amiche, che le stavano allato e notò il suo turbamento.

Mentr'egli parlava ognor più concitato, con l'irruenza d'un'emozione crescente, Alvise Polverari sentiva farsi sempre più forte nel suo interiore quello sgomento strano che non l'aveva più abbandonato dall'istante in cui Loreta, lasciandolo la sera innanzi, gli aveva mormorato con tanto sentimento quella frase supplice e così eloquente: "Ed ora, Alvise, siate forte ed abbiate piet

Con l'anima tutta piena di questo pensiero, Loreta s'era chiusa nella sua camera e febbrilmente aveva cominciato una lettera per il conte Polverari. La penna le era corsa veloce per un intero foglietto, senza un pentimento, con quell'ardore di frasi che le veniva dalla sincerit