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In un momento di debolezza il prigioniero mandò a Luigi Filippo una lettera dimessa; e nella solitudine del carcere gli risorse una reminiscenza sentimentale degli anni di scuola in terra tedesca. Egli tradusse l'Ideale di Schiller: «io vidi le sacre ghirlande della gloria profanate da una fronte volgare», vale a dire, quella di Luigi Filippo. E non si convertì affatto: «resto fermo nella mia fede», scrisse alla madre, «e non mi curo dei clamori plebei». Persigny, poi, proclamò baldanzosamente, che la Francia un giorno si sarebbe pentita di essere rimasta sorda al grido di un Napoleone. Il principe fu rilasciato, a condizione che emigrasse in America. Ciò non ostante, dopo un breve intervallo ritornò in Isvizzera. E siccome il governo di luglio esigeva il suo allontanamento e minacciava, egli s'intertenne a tutt'agio fino a quando la sconsigliata paura dei borghesi non ebbe restituito un po' di lustro al suo nome; e infine dichiarò pateticamente ai confederati, che non intendeva con un più largo indugio mettere a repentaglio la sicurezza della sua seconda patria. Si volse quindi all'Inghilterra, dove divise il suo tempo tra il lavoro serio e i facili godimenti, e corse rischio di sommergersi nella inanit

Così, pel ruzzo di un despota, colarono le forze preziose dell'esercito e delle finanze. Principiò allora l'elevazione della Germania, e colpì al cuore le idee predilette dei francesi. Il regno borbonico aveva fondato il suo predominio esclusivamente sui frantumi della potenza tedesca, e la preponderanza innaturale della periferia poteva continuare esclusivamente finché durasse lo squarcio al centro del continente. Perciò tutti i partiti, compresi Persigny e gl'intimi dell'imperatore, erano concordi nell'avviso, che il nostro genio fosse nemico dell'unit

L'imperatore, a quanto pare, era convertito all'opinione di Persigny: «la parte guerriera della Francia in Europa è terminata»: sperava di assicurare l'avvenire della sua Casa mercé i benefizi della pacifica espansione dei commerci.

Il principe aveva sempre curato di procurarsi amici fedeli e di legare a l'entourage in cieca sommissione: la fortuna ora gli conduceva l'amico più fido e più devoto, Fialin Persigny.

Il pretendente voleva sposare sua cugina, la vezzosa e poco morale principessa Matilde, e intanto si affaticava nel cómpito ingrato di educare il suo futuro cognato, il principe Napoleone. Ma dopo l'arrivo di Persigny abbandonò il suo disegno di matrimonio: i due compagni di fede s'intesero immediatamente, e si misero insieme a covare la pazza idea del colpo di mano di Strasburgo.

Il signor Giuseppe de la Roa nella sua officiosa biografia del duca di Persigny ci ha dato pel primo il racconto meraviglioso, e poi il signor Véron ce lo ha particolareggiato con doverosa commozione. Il giovine scapigliato, che nell'armata di pace del re borghese non poteva stare alle mosse, conobbe in un suo viaggio nella Svevia una dama, e fissò con lei un appuntamento a Ludwigsburg.

La lettera sull'Algeria dimostrò, che l'imperatore non aveva minimamente smesso la sua antica preferenza per l'autonomia amministrativa. La formola favoriser l'initiative individuelle ritorna quasi con la stessa frequenza come un tempo negli scritti di Cavour. Doveva egli desiderare di affrancare dall'influenza della capitale ostile il ceto agricolo delle provincie, puntello del suo dominio. Sapeva altrettanto, quanto il suo amico Persigny, che l'accentramento finiva con lo spegnere negl'impiegati la coscienza della responsabilit