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Parla talvolta, sta malinconico, mai ride, mangiando si smentica di mangiare, dove prima mangiava per doi suoi pari, la notte poco dorme, sta volentieri solo, e standovi sospira, s'affligge e si crucia tutto. DON FLAMINIO. Io ho osservato in lui tutto il contrario. PANIMBOLO. Perché si guarda da voi solo; mai lo veggio ridere o star allegro se non quando è con voi.

DON FLAMINIO. Non piaccia a Dio che ciò sia! ché se per altre cortigianucce di nulla ci siamo azzuffati insieme, pensa tu che farebbomo per costoro; e questa ingiuria io la sopporterei piú volentieri da ogni uomo che da mio fratello. PANIMBOLO. Egli da quel giorno della festa è divenuto un altro.

Panimbolo, la fortuna secondo il suo costume tutt'oggi ha scherzato con noi valendosi della varietá de' casi; e all'ultimo Iddio ha essauditi i nostri desiri. Rallegrati, ché la poco dinanzi infelice miseria mia or sia ridotta in tanta felicitá. PANIMBOLO. Stimo che di questo giorno vi ricorderete ogni giorno che viverete.

DON IGNAZIO. Ma io non sia quel che sono se non ne la farò pentire. SIMBOLO. Dove andate? DON IGNAZIO. A consigliarmi con la disperazione, con le furie infernali, ché non so quale in me maggior sia l'ardore, il dolore o la gelosia. DON FLAMINIO. Panimbolo, son partiti? DON IGNAZIO. , sono. LECCARDO. Don Flaminio, come sei stato servito da me?

PANIMBOLO. E li dái morte e sepoltura ad un tempo. DON FLAMINIO. Lasciamo i scherzi: ragionamo di Carizia, ché non ho maggior dolcezza in questa vita. LECCARDO. Ed io quando ragiono di mangiare e di bere. DON FLAMINIO. Narrami alcuna cosa: racconsolami tutto. LECCARDO. Ti sconsolerò piú tosto. DON FLAMINIO. Potrai dirmi altro che non mi ama? lo so meglio di te.

PANIMBOLO. Bisogna tôr quattro pollastroni e fargli buglir ben bene, e poi colar quel brodo grasso in un piatto e porvi dentro a macerar fette de pan bianco, e accioché non esalino quei vapori dove sta tutta la virtú, bisogna coprir ché venghino ben stufati, poi spargervi sopra cannella pista, e sará un eccellente rimedio. All'ultimo, un poco di caso marzollino per un sigillastomaco.

Orsú, come cagione di tanto male, bisogna che pigli vendetta di me medesimo, che con un laccio mi toglia da tanto vituperio. Ahi, Panimbolo, tu fosti autor del malvaggio e da me mal preso consiglio; ed io piú isconsigliato che lo presi, ché da cattivo principio non poteva aspettar altro che l'infame e doloroso fine.

Ma perché corremo per perduti e per me è morta ogni speranza e non spero se non nella disperazione, prima che muoia vo' tentar ogni cosa per difficile e perigliosa che sia, e morendo io vo' che tutto il mondo perisca meco. Ma tu imagina qualche cosa: fa' che veggia i fiori della mia felicitade. PANIMBOLO. Farò come il fico che prima ti dará i frutti che ti mostri i fiori.

DON FLAMINIO. Chi non teme con ragione, incorre spesso in disordine; e la téma fa riuscire i consigli vani. PANIMBOLO. Quei, che col nome di «prudenza» cuoprono il natural timore, non fanno mai cosa buona. Quando mai facessimo altro, poneremo il tutto in disordine e confusione; e chi scampa un punto ne scampa cento.

Mio fratello arderá di sdegno contro di me e ci uccideremo insieme. PANIMBOLO. Noi lo battezaremo piú tosto un generoso inganno che vituperoso tradimento.