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Ad ogni svolto di via, archi trionfali costrutti di paglia intrecciata e di mortella, festoni dall'una all'altra grondaia, tappeti, lenzuola, coperte da letto ad ogni finestra; altarini posticci, irti di moccoli smilzi smilzi e di imagini di santi ancora più smilzi; baracche di merciaiuoli, chicche, aranci, castagne, per le circostanti praterie assiti e panche e tende d'ogni colore e d'ogni foggia con vendita di vino e di birra; e ciarlatani e spacciatori di zolfanelli e cantatori di bosinate, a suon di pifferi e di chitarre; e forestieri a bizzeffe, e di quelli, veh! venuti le cento leghe da lontano; e il cortile dell'albergo pieno zeppo di carri e carrette e carrozze, e fior di signori e signore dagli abiti di panno chiaro e dagli ombrellini di seta e, ad ogni quarto d'ora, una salva di mortaretti che faceva traballar tutto e tutti dall'un capo all'altro della borgata.

Rintronava il galoppo; passavano intere famiglie, seguite dalla domestica che recava sulle braccia i canestri vuoti della colazione, e tutti della famigliuola correvano, chiamandosi e incitandosi ad alta voce; qualche volta, rapido al par del fulmine, appariva e spariva un cane, abbaiando per cercare il padrone; di quando in quando passava una carrozzella, zeppa di gente così da far pensare che le molle stessero per cedere e il cavallo per rimanere stecchito; e di nuovo la folla sparsa, una tempesta di ombrellini aperti con colori strani, con le forme più varie, dal minuscolo all'enorme; e gruppi che procedevan lenti, a squadre, alternando l'inno di Garibaldi con l'inno di Mameli.

Protetta dalle dune la spiaggia era avvolta nell'ombra, ma chi toccava il sommo dell'erta sabbiosa doveva ripararsi dai raggi quasi orizzontali del sole, ed era bello, levando gli occhi in su, veder quella folla gioconda emerger nella luce, e sfavillar le tinte chiare degli abiti estivi, e aprirsi gli ombrellini delle signore come fiori che sbocciano d'improvviso.

Non c'è fibra Al primo soffio di vento se ne va, se ne va. Detti, ANDREA, poi la signora IRENE. ANDREA a Giovanni. C'è la carrozza. GIOVANNI levandosi. È ora di partire. A Massimo. Non è venuta. Tutti in piedi vestono i soprabiti, cercano ombrellini, bastoni. Verremo a trovarvi. Promessa. Consolare gli esiliati. LAURI a Giovanni. A lei dico una cosa sola: Cattivo. I miei fiori.

Ma alle due del pomeriggio seguo un fiume di folla che mi conduce al parco di Boboli. Grande festa patriottica. Nell'anfiteatro sulle gradinate a semicerchio Veneri, Apolli e urne bianchissime spiccano sulle alte muraglie verdi di bossi e lauri. Agitazione di ventagli, cappelli di paglia, vestiti bianchi e rosa, ombrellini verdi, viola, rossi, sotto il sole ardente impressionista.

Il Circo è pieno zeppo ed offre uno spettacolo del quale è impossibile, a chi non l'abbia visto, di formarsi un'immagine; è un mare di teste, di cappelli, di ventagli, di mani che s'agitano in aria; dalla parte dell'ombra, dove sono i signori, tutto nero; dalla parte del sole, dov'è il basso popolo, mille colori vivissimi di vestiti, di ombrellini, di ventagli di carta, un'immensa mascherata; non c'è più posto per un bambino; la folla è compatta come una falange, nessuno può uscire, si stenta a muovere le braccia. E non è un brulichío, uno strepito come negli altri teatri; è diverso; è un'agitazione, una vita affatto propria del Circo; tutti gridano, si chiamano, si salutano, con un'allegrezza frenetica; i bambini e le donne strillano, gli uomini più gravi folleggiano come giovinetti; i giovani, a gruppi di venti, di trenta insieme, vociando in cadenza, e battendo le canne sulle gradinate, annunziano al rappresentante del Municipio che è l'ora; nei palchi è un ribollimento da piccionaja di teatro diurno; al gridío assordante della folla si mescono gli urli d'un centinaio di rivenditori che gettano aranci da tutte le parti; suona la banda, i tori muggiscono, rumoreggia la folla accalcata di fuori; è uno spettacolo che d