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Come la donna d'Iris, che si sente trascinata verso la cascata del Niagara, Elena chinò allora il capo e chiuse gli occhi, non osando più di guardare nell'avvenire, e, per forza, tornò alla solita ragione di vita, che pareva non dovesse trasmutarsi mai più. Ma il destino stava gettando altre insidie. Un giorno il duca marito era fuori di Roma, in villa, e doveva tornare quel medesimo.

Così prostrossi boccone nella sua piroga il selvaggio indiano, che sentivasi irresistibilmente strascinato verso la cascata del Niagara. Non appena i due legni si furono avvicinati, chiamarono il Caspio all'obbedienza, ed ammainate le vele, si venne all'arembaggio.

E avremo sopra di noi, dentro di noi, il Niagara immenso del chiaro di luna!... Dovrai diventar bianco, serbatoio di tenebre, per non far macchia sulla brina radiosa, che imbrillanta la pianura.... Una simile macchia potrebbe spaventare la mia amica affacciata al balcone.... Vedo farfalleggiare la sua chiara figura.

Ma quantunque col salto di Niagara Quintino arrischiasse l'osso del collo ad ogni rappresentazione, tuttavia, quando lo incominciava, non si vedeva mai incoraggiato da un pubblico numeroso. Ciò avveniva perchè, messe le seggiole l'una sull'altra, prima di dar principio alla salita, Quintino andava in giro col piattello, e allora quella gente, pare impossibile ma è proprio vero, diventava in sull'attimo di una sensibilit

I suoi esercizi erano numerosi e variati. Dava principio al trattenimento il giuoco della tartaruga, nel quale si vedeva Quintino ad allungar le gambe all'indietro della testa, accavallandole attorno al collo, mentre, appoggiandosi colle mani sulla stuoia, dondolava col corpo fra le braccia dritte, tese, che parevan di ferro. Poi c'era il salto chinese, e poi l'a due, ovverosia la passeggiata comica: in questo esercizio Quintino faceva sbellicar dalle risa passeggiando guardandosi intorno coll'aria da moscardino, arricciandosi i baffi, fingendo di fumare con un pezzo di legno, che avrebbe dovuto essere un mozzicone di sigaro, tenendosi il cappellaccio piegato sulle ventiquattro; e tutto ciò mentre Marco, col muso basso e col cheppì che gli cadeva sugli occhi, gli entrava e gli usciva di mezzo alle gambe, seguendolo ad ogni passo senza mai farlo incespicare, con una precisione di tempo degna di un matematico. Ma la rappresentazione finiva però sempre col meraviglioso salto del Niagara, che veniva annunciato come un grande e straordinario esercizio, unico nel suo genere. Difatti era questo, si può dire, il cavallo di battaglia del celebre Quintino. Figuratevi ch'egli saliva come un gatto in cima a sei o sette seggiole, messe l'una sull'altra; poi, quand'era arrivato all'ultima, mentre la mobile colonna dondolava sotto il suo peso, Quintino, il capo all'ingiù, si sollevava dritto sulle braccia, colle gambe all'aria, stava l