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NEPITA. Poiché siam venute su questo, vo' che il dica: se non, che ci daremo infino a tanto delle pugna che ne sputiamo i denti. ESSANDRO. Ti duoli di me che t'abbi tolto il padron vecchio Gerasto, che prima era tuo innamorato. NEPITA. Oh, lo dicesti pure! ESSANDRO. Ma se tu sapessi la cosa come va, non mi porteresti tanto odio, non aresti gelosia di me e m'amaresti come amo io te.

NEPITA. Non dubitar che alle donne piacciono piú questi uomini di grosso ingegno che quelli di delicato e sottile, per esser troppo fastidio a trattar con loro che nel piú bel maneggiargli o si torcono o si spezzano. Ma come ponno star insieme due cose contrarie? se tu sei innamorato di Cleria, come sei ruffiano di Essandro, quel tuo parente?

ESSANDRO. Non son còlto dal fango o dalla vil feccia del populazzo, come tu dici; ch'io son genovese. E se ben devrei tacer la famiglia per non macchiar lo splendor di tanta nobiltá con la mia mattezza, pur vo' scoprirlati. Son di Fregosi. NEPITA. Perché in questo abito? che util cavi di questa pazzia? ESSANDRO. Lo saprai, se m'ascolti.

Ed ella mi pregava che finisse il ragionamento, non pensando dove avesse a riuscire. NEPITA. Sei stato un bel grosso a non manifestarti! ESSANDRO. Anzi niuna cosa mi fe' restio se non l'esser stimato da lei per un grosso.

CLERIA. Io conosco, cuor mio, che non è cosa al mondo, per grande che sia, che voi non la meritiate. Mi sento tanto intenerita da' vostri prieghi che non posso negarvi cosa che vi piaccia. Vo' che le leggi d'amore e di cortesia abbino quella forza che conviene. Disponete dunque di me come cosa veramente vostra; entrate in questo vicolo, ché Nepita v'aprirá la porta.

NEPITA. Dunque sei giunto a quanto desiavi, sei felicissimo. ESSANDRO.... Ahi, che non fussi mai stato! Ho fatto come l'infermo che sempre appetisce quel che gli nòce. Pensava io miserello che, accostandomi a quello incendio onde tutto brugiava, la mia focosa brama fusse estinta; ma io mi sento piú acceso che mai.