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O tu che dormi ne la notte fonda De l’increato e nel mister del sogno, Per questo ben che sovra gli altri agogno, Per questa mia di te sete profonda, Svèlati!

Mi cinser la testa pietose D'un olio di rose soave: Mi tolser la nebbia che ingombra Lo spirto com'ombra letale, E Figlio mi dissero Ave! Noi siamo le eterne sorelle Noi siamo le belle immortali, Che sciolto il mister della Sfinge, Di morte non spinge la mano. Ci accoglie la selva divina, Che verde sconfina nascosa Ai cupidi sguardi dei vivi Di rose e d'ulivi fiorente: Riposa, riposa, riposa.

Brama la Chiesa intorno a adunato Stuolo di figli allora, ed indulgenza Materna a chi v'accorra ha pronunciato. Per le vie con sollecita frequenza Suona la nota squilla annunziatrice Di quel mister d'amore e sapienza. E gi

L’anima d’un ignoto Presso la mia respira: Aleggiare la sento Come un bacio nel vuoto, Mister di luce e d’ombra Che tutta a m’attira. Ed un desìo mi nasce: Essere morsa al cuore, Esser baciata in bocca, Provar gioie ed ambasce, La follìa del trionfo, La follìa del dolore.

Dopo lui scarpinavano, coi loro piedoni piatti, due rappresentanti della vecchia Albione, un mister ed una mistriss. Anch'essi non presentavano alcuno di que' tratti caratteristici e ormai diventati comunissimi, che si usa di attribuire molto volentieri agli Inglesi in viaggio. Non enormi guide sotto il braccio, non indecenti spolverine, non scarpaccie infangate ed eccessivamente lunghe.

del silenzio: volea per la sua pace ultima, forse, chiedere perdono, o dir, chiudendo gli occhi: «Io ti perdono....». .... Ma in cor per sempre il suo mister le giace.

Solo una madre il gran mister può dire che disserra le fonti de la vita. Io sarò quella madre.

E ancora e sempre avanti; e se i palagi sfumano nelle nebbie, e se nel mare e tortuosi anfratti e cupe ambagi si perdon nei profondi, e se in sull'are e di Gloria e d'Amor fuman le stragi delle vittime illuse, e il camminare dalla Fonte allontana, e se i malvagi mister' la Sfinge impone a decifrare, che importa?

Intanto tramavasi una beffarda congiura da' miei colleghi contro di me; l'equivoco d'Ambra, tosto noto a tutta la compagnia, dava diritto all'infimo staffiere di sogghignarmi in faccia. Tutti si dettero parola di non palesare l'inganno all'andalusa, a fine di prolungare più che fosse possibile la celia e le risate. Nessuno mi chiamava più Mister Yao o Señor Yao come per lo innanzi, ma invece Miss Yao o Señorita Yao, e Ram

Aliofilo sente cantar: «Perchè i Mister' dell'acque e l'armonia e le candide membra ed i sospiri e le feste d'amor in mezzo all'alighe schiva l'Umano? In cuor nulla rimane di giovinezza, o in mente più non volgon dilettose imagini di gaudio? Ancora attendono le Creature dell'Acque l'amatore, in queste strane