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DON FLAMINIO. Dici assai bene; e or ora vo' gir a trovarlo e fargli l'ambasciata. PANIMBOLO. Ascoltate: dateli la nuova con gran allegrezza e mirate nel volto e negli occhi, osservate i colori ché ne cambierá mille in un ponto: or bianco or pallido or rosso, osservate la bocca con che finti risi; in somma ponete effetto a tutti i suoi gesti, ché troverete quanto ve dico.

Mirate i cerchi de l'abisso, e quante Gemono al vostro giogo alme funeste, Tutte per se bramolle il Re stellante, E voi lor tutte in questo ardor traeste. Così parlava latrator, mugghiante Contra l'eccelso tonator celeste, Quinci obbliando d'Ottoman lo scherno Volgonsi crudi a tormentar l'inferno.

Egli, dopo breve pausa, continuò: Ma non sarò vostro zimbello; abbastanza vi ho creduto.... e.... , stavo per credervi ancora.... Ma vedo a che mirate: è la salvezza di colui!... Tutte le vostre parole sono mezzi per giungervi.... Io stesso sarei un mezzo.... Non vi credo!

LAMPRIDIO. Signor capitano, costui, che forse non conoscete, è scemo di cervello e va dicendo a ciascheduno che è venuto di Turchia e che ha trovato in casa sua un non so chi, che dice esser figlio a sua moglie e fratello a sua figlia, e mille altre filastroche; e si piglia diletto di dar la baia a tutta questa cittade. Mirate che stracci da mascalzoni.

GUGLIELMO. A me ne dimandate? PANDOLFO. A chi vuoi che ne dimandi? GUGLIELMO. Che argento dite voi? PANDOLFO. Che ti ha consegnato l'astrologo dopo che fosti trasformato. GUGLIELMO. Che astrologo, che trasformazione? PANDOLFO. Or questo è un altro diavolo, duomila scudi d'argento: sarebbe cosa da farmi arrabbiare! CRICCA. Ah, ah, ah! mirate che ride! vuol scherzare con voi il traditore.

Così disse ’l maestro; ed elli stessi mi volse, e non si tenne a le mie mani, che con le sue ancor non mi chiudessi. O voi ch’avete li ’ntelletti sani, mirate la dottrina che s’asconde sotto ’l velame de li versi strani. E gi

E perchè? non lo indovinate voi, il perchè? soggiunse Ginevra, proseguendo la celia. Perchè mirate a troppe. Ora voi non ignorate che cos'abbia sentenziato una nostra gentile antecessora, la contessa di Sciampagna. «Egli non si può amare più d'una donna ad un tempo». Verissimo, pel tempo d'allora; rispose il Cig

FORCA. Forzatevi. PIRINO. Ogni cosa può essere, ma che muti pensiero non mai. Ami qualunque li piace, facciami quante offese ella puote, non sará mai che quei disgusti e quelle offese non mi sien piú dolci di quante dolcezze potessi aver in questa vita. FORCA. O padrone, è caduta una lettera dalla sua fenestra: eccola, mirate se viene a voi. PIRINO. Conosco la sua mano.

Presso è Sciriffo; ed egli a' suoi converso Gridava: o d'Ottoman squadra possente, Mirate in terra, e di suo sangue asperso Il capitan de la nemica gente; Sfoghisi omai sul popolo disperso L'ira dovuta, mia virtù non mente: Ecco io per sangue al gran Signor congiunto Da voi tra' rischi non giammai disgiunto. Egli così diceva.

Cosi` disse 'l maestro; ed elli stessi mi volse, e non si tenne a le mie mani, che con le sue ancor non mi chiudessi. O voi ch'avete li 'ntelletti sani, mirate la dottrina che s'asconde sotto 'l velame de li versi strani. E gia` venia su per le torbide onde un fracasso d'un suon, pien di spavento, per cui tremavano amendue le sponde,