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Le signore rientravano all’ora fissata; mettevano timidamente la testa entro la porta della cucina, ma scappavano via subito spaventate dagli odori. Silvio si avanzava per avvertirle che tutto era pronto, faceva il saluto militare colla mestola, e si metteva a passare il brodo dallo staccio per la minestra.

Cari tutti e due! e avete ben ragione. In quanto a me, io l'aveva detto cento volte a quel brav'uomo che ora andò a tener compagnia ai nostri vecchi fratelli di guerra, gliel'aveva detto che pensasse a dare un mestiero a' figliuoli, un buon mestiero per cui non può mai mancar da vivere: chè, alla fin del conto, chi lavora è sempre padrone della sua fatica, come e forse più che il ricco del fatto suo; e il pane della fatica è il pane più saporito, più onorato che sia. Ma lui, non ne volle sentire: lo so bene, quella sua croce d'onore gli aveva un po' ingarbugliate le idee, e non voleva che i figli d'un cavaliere dovessero imparare a maneggiar la mestola o la pialla; lo compatisco. Ma l'ho anch'io la croce, l'ho avuta nello stesso che lui, e ne fo quel conto che si deve: essa è l

Or come gli avete voi dato retta? Facendo il procaccino alle novizie. Tecla! Tecla! Non mi fate perdere la tramontana! Quel che ho fatto, l'ho fatto a buon fine, e non me ne pento. Bravo! Vedo i guadagni che n'abbiam fatti. Vo' che mi compriate uno scialle di tartano con quei denari, poichè l'inverno è vicino, e questo è ragnato così che pare una mestola bucherata.

Così finirono il carnevale, e finalmente la quaresima venne a togliere l’incubo che li opprimeva; i cugini lasciarono Venezia, e l’ordine fu ristabilito nella piccola famiglia, ove Metilde liberata dalla vista di Maria, distratta dalla compagnia di sua madre, si mostrò meno gelosa e più tollerante col marito, il quale aveva ripreso tranquillamente le sue funzioni suppletorie dei fornelli, e viveva occupatissimo nel triplice incarico di avvocato, di giornalista e di cuoco, lavorando assiduamente colla penna e colla mestola, fra le rifritture del foro, i pasticci della politica, e i processi della cucina.

Giunto a casa, depose le provviste in cucina, poi salì finchè c'erano scale, alle soffitte dove i padroni gli avevano assegnata una camera. C'erano parecchi usci sul pianerottolo, ed uno era socchiuso. Prima di aprire il suo, il cuoco spinse quello, ed entrò. Era una camera lunga e stretta, coll'ingresso ad un capo ed una finestrella all'altro. Pareva un omnibus. Contro la parete destra, accanto all'uscio, c'era un lettuccio poco più largo appunto del sedile di un omnibus; nella parete di contro c'era il camino, ed ai due lati del camino, un cassettone ed un armadio nel muro per le stoviglie, la pentola, il secchio, la mestola e tutti gli arnesi da cucina. Ai piedi del letto si rizzava l'asta d'un attaccapanni mobile, le cui gruccie scomparivano sotto un carico di vestiti, coperti tutt'in giro da una vecchia gonnella scolorita, stretta in alto da un cordone passato in una guaina, e ricadente giù molle come un ombrello senza stecche, che dava a quel mobile economico un'apparenza misteriosa. Sembrava un trabicolo, sembrava una incubatrice per i bachi, e, pel momento, la sua rotondit