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Più turbata di prima, la contessa era ridiscesa, e nel vestibolo aveva scorta la signorina di Charmory. «Maxette!...» Massimiliana l'aveva presa per una mano, interrogandola, prima che con la parola, con lo sguardo: «Che cosa succede?...» «Nulla... volevo vederti...» E l'ansia di ciascuna raddoppiandosi dinnanzi a quella dell'altra, il loro pensiero si era incontrato nell'unico oggetto che l'occupava: Ermanno... «Bisogna che mi conduciate da lui!...» chiese risolutamente la fanciulla. «Maxette mia... è impossibile...» «È necessario.

Le ultime parole erano state pronunziate a stento; la voce veniva mancando alla signorina di Charmory, e ad un tratto, ricadendo sul divano, ella aveva cominciato ad ansimare affannosamente, tutta la sua persona era stata scossa da un brivido nervoso come per l'invasione della febbre. «Maxette... Maxette, bambina mia!...» aveva esclamato la contessa, chinandosi premurosamente su di lei, tentando di sollevarla, di sedare quella scossa inattesa.

Anche la signorina di Charmory pareva sofferente, la sua carnagione era d'una tinta malaticcia e gli occhi cerchiati di nero avevano un'espressione d'abbattimento. «Finirete per ammalarvi anche voi, mia povera Maxettele aveva detto l'amica, amorevolmente rimproverandola di trascurarsi troppo per curare la zia. «No, io sono molto forte...» rispose la signorina di Charmory; «non mi credete?..» soggiunse, con una reticenza, come se avesse cercato di dare una dimostrazione della sua forza e si fosse ad un tratto pentita. «La vostra partenza è dunque necessariamente rimandatachiese però subito la contessa. «Non saremmo partiti egualmente, anche senza questa ricaduta...»

Ella aveva il vago ricordo di esser stata trascinata, inerte, con la testa fatta come di piombo; e lo stesso peso ora le gravava sulla fronte, malgrado la sua acconciatura fosse stata disfatta e una pezzuola imbevuta d'acqua ghiaccia vi venisse adattata continuamente. «Maxette... come stai?...» chiedeva sommesso la signora di Verdara, ed ella rispondeva appena con un moto degli occhi.

Recando la pezzuola inzuppata, egli era passato dietro al sedile per sollevare la giovanetta, che all'impressione di freddo sulla fronte aveva tratto un profondo respiro, scuotendosi, «No... non come l'altro...» mormorava, respingendo la contessa che la teneva stretta fra le braccia. «Son io, Maxette!.. son io...» e con un segno della mano, ella ingiungeva ad Ermanno di tenersi discosto. Dischiusi gli occhi, Massimiliana guardò un poco la donna; poi si sollevò, in un rapido ritorno della memoria, spingendo lo sguardo dinnanzi a . E come si vide sola con l'amica, afferrossi a lei, convulsamente. «Aiuto... soccorso...» supplicava, fremendo; «è troppo... è la morte...» «Maxette!.. Maxette!..» ripeteva la contessa, subitamente comprendendo, impotente a sedarla, atterrita al vedere Ermanno avvicinarsi... «Diteglielo voi, di fuggirmi... voi che vedeste le mie lacrime... che sapete tutta la mia vergogna... Ah, Dio Signore... mio Dio Signore!..» La contessa tentava invano di farla tacere, di chiuderle la bocca in un abbraccio, vedendo gi

Non le importava quel che avrebbe potuto pensare: l'interessante era di vederlo, subito... Adattossi la toque senza guardarsi allo specchio, si avvolse nel suo mantello... In quel momento l'uscio a fianco si aperse e la viscontessa, con indosso un accappatoio bianco, bianca ella stessa come una morta, si avanzò verso di Massimiliana. «Tu esci... a quest'ora?...» Anch'ella non aveva chiuso occhio, in quella notte d'angoscia, porgendo ascolto ad ogni rumore che venisse dalla stanza vicina, con la febbre della paura. «Lasciami!... lasciami andare!...» diceva Massimiliana; e la debole donna l'aveva circondata con le sue povere braccia, cercando di trattenerla. «Maxette... in nome di Dio!... Non voglio che tu esca...» «Lasciami andare! non aver paura...» «No!... verrò io stessa, piuttosto... aspettami; il tempo di vestirmi...» ma le forze l'abbandonavano sempre più, la sua respirazione si faceva affannosa. «Va a letto... non aver paura!...» ripeteva Massimiliana, allacciandosi il suo mantello con le mani tremanti; «ho bisogno d'aria... il tempo di respirare l'aria fresca del mattino...» «Maxette!... Maxette!...» insisteva la viscontessa, afferrandosi a lei, passandole una mano scottante sulla fronte agghiacciata. «Maxette... non andare!... non morire!...» Allora ella proruppe, svincolandosi: «Ma è lui che muore!... lui che sa tutto... la mia vergogna... e la vostra!...»

Massimiliana di Charmory si era tratta un poco indietro ed il pallore del suo viso era cresciuto. «Io non so, signora... io non ho nulla notato...» balbettava, contenendo il respiro, con le ciglia abbassate. «Ma la vostra emozione parla per voi!..» esclamò la contessa. «Non siete dunque sincera, Maxette?..» Ad un tratto, il viso della fanciulla si era fatto di porpora, ed i suoi occhi, fissatisi un momento sull'amica, si abbassarono dinnanzi allo sguardo fermo di lei. «Vedete...» riprendeva brevemente quest'ultima, a cui la specie di affermazione letta in quell'imbarazzo dava nuova energia e come un'impazienza di uscire da quell'umiliazione di tutta stessa: «Vedete, il signor Raeli vi ama... e dipende solo da voi... che egli faccia presso la vostra famiglia...» Non ebbe il tempo di finire, di trovar le parole da completare il proprio pensiero, che Massimiliana, levandosi in piedi: «Sono molto onoratarispose con accento risoluto, «della domanda del signor Raeli; ma non posso accettarla.

Macchinalmente, ella alzava un braccio, accennando, e ad un tratto l'uscio si schiudeva, e la viscontessa, pallida, ansimante, le si faceva vicina... «Come stai?... Non mi hanno detto nulla... MaxetteSubitamente alzatasi, cominciando a disfare la sua toletta: «Non è niente, un capogiro...» rispondeva Massimiliana. «Ma perchè non mi hai fatta chiamare?.. vuoi che venga un dottore?..» insisteva l'altra, prendendole una mano. In quel momento, l'ammalata non era più lei, era la giovanetta: ella lo comprendeva al tremore della persona, allo splendore degli sguardi; ma l'altra replicava: «No, grazie... il riposo finir

La viscontessa era caduta sul divano, con la testa sul petto, ansimante. «Perdono!.... Perdono!... hai ragione... è colpa anche mia... è stato mio padre... oh!...» Come un singhiozzo le aveva lacerata la gola, Massimiliana era caduta quasi in ginocchio dinnanzi a lei, brancicandola: «Sei tu che devi perdonarmi.... Povera donna! non ti accusare... Che colpa è la tua?.. Sono stata troppo vivace; perdonami...» Allora la viscontessa aveva rotto in pianto. Era un nodo che aveva nel petto, da anni: vederla soffrire in silenzio, senza poter far nulla... e mai un lamento... mai un rimprovero... come una martire... «Oh, Maxette!... povera, povera!...» «Basta!.. tranquillati!..» interrompeva Massimiliana; «buon Dio, basta!.. Vedi: anch'io sono tranquilla... Ma lasciami andare... è giorno chiaro, c'è gi