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Tornando al carcere di Beatrice Marzio favellava: Vostro padre è una miniera di delitti; più se ne scava, e più se ne trova. Io, che pure non mi spavento per poco, quando mi affaccio a quel pozzo disperato rabbrividisco, e non comprendo più nulla.

Io non so di sacerdoti; io so di Cristo, che riprova la legge di pagare dente per dente, e occhio per occhio, e vuole che amiamo quelli che ci fanno del male. Marzio, lasciate a Dio i suoi giudizii; quello che in Dio è giustizia, in voi sar

Il Conte traeva maraviglioso sollazzo a contemplare le prove di cotesta belva, e a Marzio, che gli si era accostato, così favellò: Questo è il figlio della mia predilezione, come disse la voce sul Giordano; e lo educo, a Dio piacendo, a difendermi dai nemici, ed anche dagli amici; in ispecial modo dai miei figli dilettissimi; dalla consorte più diletta ancora, ed anche un po' da te e toccava la spalla al cameriere mio lealissimo Marzio.

Marzio, che inosservato era rimasto nella sala, udendo le parole che svelavano più apertamente il disegno infernale di Francesco Cènci, si era accostato pian piano tenendo nelle mani un vaso pesantissimo di argento; e, levate le braccia con quanto aveva di forze, accennò spezzargli il cranio; e lo facea, perchè il Conte, improvvido, stava come tratto fuori di se a contemplare la divina fanciulla.

E ordinava a Marzio prendesse certo uomo di paglia, e lo portasse in sala dove mettevano capo le camere delle donne e del fanciullo: egli poi trasse Nerone in altra stanza, lo aizzò, lo inasprì, e poi, spalancato allo improvviso l'uscio, lo avventò contro l'uomo di paglia. Il cane, cieco di rabbia, si lancia a balzi contro il simulacro, e lo strazia latrando disperatamente.

Che uscito fuor del pelago alla riva Si volge all'acqua perigliosa, e guata. Tutti sgombrarono la sala: rimasero don Francesco e Beatrice, e, non avvertito, anche Marzio; chè prossimo ad una credenza, faceva sembiante di attendere a raccogliere i vasellami di argento.

O perchè non hai condotto il tuo compagno don Marzio? Queste due domande andarono come due frecce a percuotere nel medesimo bersaglio: sicchè Olimpio sentendosi punto, dopo avere bestemmiato al corpo e al sangue, rabbiosamente favellò: Per avere addosso il mantello rosso gli pare essere il Conte Cènci, a cui lo ha rubato...

Marzio col capo accennò affermativamente. Bene; prendi questo archibugio, sparalo traverso l'uscio della stanza di Virgilio, e poi urla con quanto hai di fiato nella gola: al fuoco! al fuoco! Così insegnerò a costoro dormire mentre io veglio. Eccellenza.... Che hai? Io non le dirò: piet

Sapete voi, che veramente la vostra supplica fosse presentata? Signor mio, io la raccomandai a Marzio onde fosse messa in corso. E perchè affidaste a Marzio commissione tanto importante? Ah! mio padre mi teneva chiusa; sicchè, tranne Marzio, in cui mio padre unicamente confidava, non mi era dato abboccarmi con altra persona in quel tempo. Proseguite.

Ora avvertite di non mancare; manderò, o verrò io stesso a vedere se avrete attenuto il patto: se troverò altrimenti, guai! Mi chiamo Francesco Cènci, e basta. Il Curato fra lieto e tristo intascò la moneta; e, profferte umilissime grazie, con copia di riverenze si allontanò dal male visitato barone. Marzio tornava in compagnia di Olimpio.