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E però ricevono el fructo de l'ecterna dannazione con pianto e stridore di denti. Questi sonno quelli martiri del dimonio, de' quali Io ti dixi; che 'l dimonio lo' quello fructo che ha per . Adunque vedi che questo pianto fructo di pene in questo tempo finito, e ne l'ultimo lo' la infinita conversazione delle dimonia. De' fructi de le seconde e de le terze lagrime.

dicendo da lei gli occhi non gira, Tutto intento a spiar ciò ch'ella pensi. Ed ella giù nel cor prima sospira, Soggiunge poscia: di martiri immensi Altra vivendo non rifiuti il peso, Ciò non fia certo di Sultana inteso.

Io ti credea trovar la` giu` di sotto dove tempo per tempo si ristora>>. Ond'elli a me: <<Si` tosto m'ha condotto a ber lo dolce assenzo d'i martiri la Nella mia con suo pianger dirotto. Con suoi prieghi devoti e con sospiri tratto m'ha de la costa ove s'aspetta, e liberato m'ha de li altri giri.

Quando mi vide, tutto si distorse, soffiando ne la barba con sospiri; e 'l frate Catalan, ch'a cio` s'accorse, mi disse: <<Quel confitto che tu miri, consiglio` i Farisei che convenia porre un uom per lo popolo a' martiri. Attraversato e`, nudo, ne la via, come tu vedi, ed e` mestier ch'el senta qualunque passa, come pesa, pria.

Ma che cosa egli aveva fatto? Aveva creduto di poter compiere da solo quello a cui non riuscirono milioni di martiri e di eroi, quello che Dio non permette ancora. Aveva creduto di allontanare ogni male dalle sue pecorelle tenendole lontane dal mondo, quasi Egli non fosse laggiù come Difensore e dappertutto come Punitore!

Non so quanto i Romani ricordino oggi il 1849. Ma se le madri romane hanno, come dovevano, insegnato ai figli la riverenza ai martiri repubblicani, in quell'anno, della loro citt

Devesi altri turbar poco, molto Quando un guerreggiator trabocca in guerra? Il tuo fedel, che da la vita è tolto, Pur nostro servo ne riman sotterra Sposto a le fiamme eterne ed a i martiri; Or non son questi alfin nostri desiri?

Gli splendidi eroismi dei Cairoli a Villa Glori, di Raffaele De Benedetto a Monte San Giovanni, di Giuditta Arquati in Trastevere e dei martiri di Mentana non potevano restar a lungo invendicati e aspettano il loro poeta del trionfo. I rimasti e il dito di Dio.

Che di amara radice Amare foglie e amare frutto nasce: Il misero si pasce D'orrore e di paura, Di lacrime e sospiri, Sempre in nuovi martiri, E per lui solo al mondo il pianto dura. ORESTE, tragedia antica. «Va, corri, Beltramo, fa di recarmi tosto la mia armatura.... e la lancia.... e la spada.... e....» «Il pugnale

Poi mi rivolsi a loro e parla' io, E cominciai: Francesca, i tuoi martiri A lagrimar mi fanno tristo e pio