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MALFATTO. Uhu! uhu! uhu! PRUDENZIO. Che ch'io ti farò parlare! MALFATTO. Perché volete che parli, se prima me dite ch'io stia cheto? PRUDENZIO. Io te ho detto che tu lassi parlare prima al mastro e che poi respondi. Dove sei andato, Malfatto? non odi? MALFATTO. Missere! missere! PRUDENZIO. Malanno che Dio te dia! Dico che venghi nosco. MALFATTO. E quando?

Me voresti fare le male cose come fa lo mastro alli scolari, eh? CURZIO. So ch'el confessa senza tratto di corda. MALFATTO. Ché non me li date qua, se volete? CURZIO. Non ho dinari appresso. Vieni, su la fede mia. MALFATTO. Andiamo, ! Volete che venga dinanzi o drieto? CURZIO. Vieni come vòi tu. Oh che dolce spasso è questo di costui!

Dove vai? MALFATTO. Venivo a ti. Come sto io? CECA. E che vòi tu ch'i' ne sappia come stai? Guarda ch'adimande da sciocco! MALFATTO. Io volevo dire come stai tu. CECA. Tieni le mani a te. Che farai? MALFATTO. Volevo toccare un po' qua dentro. CECA. Non se tocca qua dentro, se non se piange. MALFATTO. O aspetta un poco. Non te so' moglie io a te? CECA. Sta' da lunga, quando tu parli.

PRUDENZIO. giú per quel trivio. MALFATTO. Non erano se non doi, recordatevene bene, e non tre. PRUDENZIO. L'è vero. O camina, adunque; e torna tosto. MALFATTO. Quanto tosto volete ch'io venga? com'un sasso? PRUDENZIO. E camina, poltronee! ch'in questo mezzo voglio andare ad informandum curiam. MALFATTO. Oh mastro! oh mastro! Io non li veggio. PRUDENZIO. Va' correndo giú per quella via.

CURZIO. Nel letto suo proprio? MALFATTO. Misser no. In camera; in un altro letto; in terra. TRAPPOLINO. Entrate. CURZIO. Vieni dentro, Malfatto. FULVIA donna, IULIA donna, RITA serva. FULVIA. Non venite piú innanzi. Di grazia, tornatevi dentro. IULIA. Orsú! Andate in pace. Voi me avete intesa. FULVIA. Madonna . IULIA. Me avete ben fatto despiacere a non vi restare a desinare con esso meco.

MALFATTO. Quello che ve disse poltrone. PRUDENZIO. Andastegli tu dietro? MALFATTO. Misser . PRUDENZIO. Hai tu saputo chi sono? MALFATTO. Misser : sono doi omini. PRUDENZIO. Ben sai che non sono doi equi. Vedi risposta de insipido! Non vedesti tu almeno dove entrorno?

Aspetta pur ch'io venghi giú con un bastone, ché ti farò fugir piú che di passo. MALFATTO. Oh diavolo! Non fare, ché te voglio bene, io; e poi me cci ha mandato lo mastro. CECA. E che vole? Ché non lo dici? MALFATTO. Vole quel cotale che sta qua. CECA. Come se chiama? MALFATTO. Lo mastro lo sa. CECA. O va' e fattelo redire. MALFATTO. Non voglio, ché lui me ha ditto ch'io venga qua a pichiare.

Voglio andare al fòro per emere alcuna cosetta per prendere la corporale refezione e resarcire, cibando, el ieiuno ventre. O Malfatto! MALFATTO. Che volete? PRUDENZIO. Vieni fuora. Non odi? a chi dico io? MALFATTO. Che ve piace, ehu? PRUDENZIO. Non hai verecundia a responder al precettore cosí temerariamente? Guarda pur, ch'io non ti dia un cavallo. MALFATTO. !

PRUDENZIO. Bonum est quod ego, bono è ch'io vada sino alla Eccellenzia della Magnificenzia del reverendo illustrissimo mio unico perpetuo domino colendissimo del Monsignor mio; e partim andarò sino al barbitonsore. Non odi, villico, stabulatio, Malfatto? CURZIO. Stiamo a udire che dice. PRUDENZIO. Famulo, non odi? Vien qui, ché te voglio parlare. MALFATTO. Che volete?

PRUDENZIO. Videbis che tu te serai posto a ludere in qualche fòro o in qualche latere con le alee; ed io, cerciorandomene, te scoriarò vapulandote con la scutica, ché me delibero che tu non ludi se non col troco. MALFATTO. Patrone, voi sète errato, ch'io non me nne ricordo. PRUDENZIO. Dic parumper: non te aricordi tu? MALFATTO. Ben sapete che misser .