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26 Ad accusar Melissa si converse, e maledir l'oracol de la grotta; ch'a lor mendace suasion s'immerse nel mar d'amore, ov'è a morir condotta. Poi con Marfisa ritornò a dolerse del suo fratel che le ha la fede rotta: con lei grida e si sfoga, e le domanda, piangendo, aiuto, e se le raccomanda.

BALIA. Fermati, figlia mia, non correr con tanto impeto, frena questo pensiero con qualche ragionevol discorso, non ti lasciar cosí vincer dal dolore e dalla disperazione, perché di tante hai eletta la piú perigliosa, precipitosa e disperata rissoluzione. CINTIA. Balia mia, vorrei maledir mille volte l'ora che nacqui: deh! perché non mi soffocasti nella cuna?

Basta a gloria delle genti Predicar virtù civile, Maledir ogni opra vile, Intimar fraterno amor». «Ch'altro grida la voce dell'Ara, Che civili, fraterne virtuti? Fiacchi sono del senno gli aiuti, Se l'Eterno virtù non impon. D'uomo il senno ch'a Dio non s'eleva Con qual dritto imporr

E tu intanto, oscena arpia, Mi pagherai col rabescar di rughe Il mio sembiante; col pelarmi il cranio; Collo sfiaccarmi i muscoli e filtrarmi Nelle vene e nell'ossa, a poco a poco, Il gel dell'agonia!... Nulla ti chieggo Alba!... No! Errai! Ti chieggo un verso; un verso Per maledirti, quanto umanamente È dato maledir!... Ora ai tuoi vezzi Presti fede chi vuole!... Io m'addormento!

Invano, invan rammentano Vigliacchi amici al forte, Che della Croce ai nunzii Leggi minaccian morte: Invano a lui, se i vizii S'ostina a maledir, Tremanti vaticinano Scherno, prigion, martir. «Oh mal pietosi e timidi! Risponde al caro stuolo, Sappiate che un orribile Martirio esecro solo, Quel che patii nel misero Mio giovanile error, Quando tra fedi varie Mi vacillava il cor.

La man levata a maledir proruppi Allor dall'infocata ira travolto: Il sol piombi feroce su quest'erbe Polverose, rivolo discenda, rugiada sull'arida sodaglia A ristorar la maledetta creta, Che di sangue fremente un giorno ingorda S'inebriò. Tal sia. Possa ogni campo, Che vide un giorno scempio scellerato Far di natura e dell'umano affetto, Inaridir così nelle sue glebe!

L'Adda sa bene di non poter contendere col Po, presso il quale il Monti è nato, e prima di lui Lodovico Ariosto ed il Guarini, ma pur si gloria che presso le sue rive abbia cantato un giorno Giuseppe Parini, l'Orazio lombardo. L'Adda dice: Quivi sovente il buon cantor vid'io Venir trattando con la man secura Il plettro di Venosa e il suo flagello, O traendo l'inerte fianco a stento, Invocar la salute e la ritrosa Erato bella, che di lui temea L'irato ciglio e il satiresco ghigno; Ma alfin seguïalo e su le tempie antiche Fêa di sua mano rinverdire il mirto. Qui spesso udillo rammentar piangendo, Come si fa di cosa amata e tolta, Il dolce tempo della prima etade, O de' potenti maledir l'orgoglio, Come il genio natìo movealo al canto E l'indomata gioventù dell'alma. Or tace il plettro arguto e ne' miei boschi È silenzio ed orror. Te dunque invito, Canoro spirto, a risvegliar col canto Novo rumor Cirreo. A te concesse Euterpe il cinto, ove gli eletti sensi E le imagini e l'estro e il furor sacro E l'estasi soavi e l'auree voci Gi

26 A maledir comincio l'amor d'esso, e di sua crudelt