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Era notte e silenzio, altro splendeva se non un fioco lampione sospeso alla volta e una lanterna sorda deposta a manritta di Macaruffo, i cui raggi lo illuminavano a mezzo, e venivano riverberati da un mazzo di chiavi, pendentegli dalla cintura, e delle quali si sentiva lo sgarbato tintinnio ad ogni volta che egli desse.

Il soldato, accostandosi di più a Macaruffo, gli proferì all'orecchio: Quel signore e quella signora l

Lesto Macaruffo fece sonare un mazzo di chiavi; orribile armonia, onde tutta si risentì la nostra infelice, tanto più quando in quell'ora straordinaria l'intese drizzarsi verso la sua prigione ed aprirla. In fatto egli schiuse, e con un ghigno di maliziosa petulanza sporgendosi mezzo in quella camera, le disse: Buone nuove, signora, buone nuove: l'illustrissimo signor principe è di l

Buon pranzo a vossignoria», esclamò Macaruffo, traendosi il berretto con un'insolita gratitudine, e tiratosi dietro l'uscio, se n'andò contento che non gli parea vero; e non era disceso da met

E poidomandava l'altro, mentre rizzavasi dinoccolato, e sentendo in quel punto meglio che mai quanta distanza corra fra il promettere di fare e il fare. Come? tu cagli? e i denarireplicava risoluto Alpinolo. E il diamanteridomandava Macaruffo. , il diamante è qui; ed al varcare della soglia ti giuro da uom d'onore che sar

Il custode della Margherita, a vederlo, era un coso lungo lungo e badiale, colla pelle tutta chiazzata e a mascherizzi, occhi guerci e suffornati in archi di ciglia setolose, capelli rossastri spartiti in sulla fronte, e tirati giù come una cornice barocca attorno a quel poco viso che lasciava discoperto una folta e sudicia barbaccia, da mettere nausea e spavento. Nasceva egli dalla valle d'Imagna nel Bergamasco; e i suoi buoni compatriotti supplivano allora, come anche oggidì, alla scarsezza del terreno col lavorar al tornio l'acero e il faggio delle loro selve in palle, mestole, taglieri, truogoli, zipoli e siffatti, che poi scendono a spacciare a Bergamo o a Milano. Anch'egli era stato dirizzato su quell'arte del mestolajo, come suo padre, come suo nonno, e il padre e il nonno del suo nonno; ma diverso in tutto da loro, sin da giovinetto gli era stato mutato il proprio nome di Macaruffo in quello di Lasagnone, perchè non sapeva piegar la schiena, e la poca fatica gli era una sanit

Tutto questo a Macaruffo pareva un sogno, e si fregava gli occhi, quasi per accertarsi di essere ben desto, e che non fosse, com'egli diceva, uno scherzo del decotto di uva; e in tentenno fra la paura e l'ingordigia, l'andava librando dentro di .

Ella rincorata si alzò, e ripetendo Andiamo», si avviò: mentre Macaruffo le teneva dietro replicandole: La si ricordi che le pietanze io gliele ho portate: e se non le volle, colpa sua: e che le ho detto che il principe si ricorda di lei; e che l'ho trattata sempre come va...» La aspettava Luchino in un salotto, assiso in un seggiolone a intagli dorati, coperto di damasco: aveva deposto la corazza, l'elmo, gli schinieri, ed incrociando le gambe, appoggiava ad uno dei bracciuoli il gomito sinistro, e al dosso della mano la guancia. Due vivissimi occhi scintillavano nel viso di maschia bellezza, quale tutti l'avevano i Visconti; un viso, su cui la virilit

Il soldato lanciò un potentissimo giuraddio, ed esclamando a tutta voce, Che tristo ti faccia Iddio! se tu sapessi quant'è preziosoandò colle pugna sul viso del malnato, e col calcio della lancia battè per terra con tal forza, che Macaruffo diede un passo indietro, parandosi colle mani spiegate, e dicendo: Ih ih, che furie! Casca il mondo per così poco

Macaruffo, strettagli la mano e detto Birba chi manca», sdrajatosi di nuovo sull'ammattonato, pieno d'allegrezza e di buon pro ti faccia, al lume della lanterna guardava, pesava, numerava, fiutava persino i fiorini.