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Ratta sui vanni allor d’atra procella, Scende sventura all’idumee pendici, Strugge i campi, gli armenti e le castella. Ve’ subito oscurarsi i felici Del prence, e ve’ dalle dolenti case Ad uno ad uno disparir gli amici! il vinse ciò, l’ira al cor süase. Guardò la donna sua, baciolla, al core Forte la strinse, e impavido rimase.

L’ira nostra non è turbin che passa denso di lampi e tuoni: è l’avanzar compatto ed incessante fra torbidi perigli, non per noi, non per noi, ma per le sante gioie de’ nostri figli: è il batter senza tregua coi pesanti martelli il duro masso, a poco a poco disgregando, ansanti, le vèrtebre del sasso: nostra fede portar come un bel fiore su l’elsa d’una spada: stringer le file se un fratel ci muore, e seguitar la strada

che da cima del monte, onde si mosse, al piano è la roccia discoscesa, ch’alcuna via darebbe a chi fosse: cotal di quel burrato era la scesa; e ’n su la punta de la rotta lacca l’infamïa di Creti era distesa che fu concetta ne la falsa vacca; e quando vide noi, stesso morse, come quei cui l’ira dentro fiacca.

Io pensava così: ‘Questi per noi sono scherniti con danno e con beffa fatta, ch’assai credo che lor nòi. Se l’ira sovra ’l mal voler s’aggueffa, ei ne verranno dietro più crudeli che ’l cane a quella lievre ch’elli acceffa’. Gi

Lo buon maestro disse: «Figlio, or vedi l’anime di color cui vinse l’ira; e anche vo’ che tu per certo credi che sotto l’acqua è gente che sospira, e fanno pullular quest’ acqua al summo, come l’occhio ti dice, u’ che s’aggira.

Veggiolo un’altra volta esser deriso; veggio rinovellar l’aceto e ’l fiele, e tra vivi ladroni esser anciso. Veggio il novo Pilato crudele, che ciò nol sazia, ma sanza decreto portar nel Tempio le cupide vele. O Segnor mio, quando sarò io lieto a veder la vendetta che, nascosa, fa dolce l’ira tua nel tuo secreto?

«Figliuol mio», disse ’l maestro cortese, «quelli che muoion ne l’ira di Dio tutti convegnon qui d’ogne paese; e pronti sono a trapassar lo rio, ché la divina giustizia li sprona, che la tema si volve in disio. Quinci non passa mai anima buona; e però, se Caron di te si lagna, ben puoi sapere omai che ’l suo dir suona».

Lo buon maestro disse: «Figlio, or vedi l’anime di color cui vinse l’ira; e anche vo’ che tu per certo credi che sotto l’acqua è gente che sospira, e fanno pullular quest’ acqua al summo, come l’occhio ti dice, u’ che s’aggira.

che da cima del monte, onde si mosse, al piano è la roccia discoscesa, ch’alcuna via darebbe a chi fosse: cotal di quel burrato era la scesa; e ’n su la punta de la rotta lacca l’infamïa di Creti era distesa che fu concetta ne la falsa vacca; e quando vide noi, stesso morse, come quei cui l’ira dentro fiacca.

Veggiolo un’altra volta esser deriso; veggio rinovellar l’aceto e ’l fiele, e tra vivi ladroni esser anciso. Veggio il novo Pilato crudele, che ciò nol sazia, ma sanza decreto portar nel Tempio le cupide vele. O Segnor mio, quando sarò io lieto a veder la vendetta che, nascosa, fa dolce l’ira tua nel tuo secreto?