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Rispuose a la divina cantilena da tutte parti la beata corte, ch’ogne vista sen più serena. «O santo padre, che per me comporte l’esser qua giù, lasciando il dolce loco nel qual tu siedi per etterna sorte, qual è quell’ angel che con tanto gioco guarda ne li occhi la nostra regina, innamorato che par di foco?».

Incitato a ballo dal Principe di Trabia a Mezzo Monreale, costui, bello com’era della persona, si presentava con grandi barbette e coi neri capelli senza polvere. L’esser egli un servitore fedele del suo Re, l’aver seguito costui in Sicilia, abbandonando patria, beni, famiglia, dovevano esser ragioni più che forti per metterlo al di sopra di qualsivoglia sospetto di demagogia; ma non fu così.

D’i Serafin colui che più s’india, Moïsè, Samuel, e quel Giovanni che prender vuoli, io dico, non Maria, non hanno in altro cielo i loro scanni che questi spirti che mo t’appariro, hanno a l’esser lor più o meno anni; ma tutti fanno bello il primo giro, e differentemente han dolce vita per sentir più e men l’etterno spiro.

Dentro dal ciel de la divina pace si gira un corpo ne la cui virtute l’esser di tutto suo contento giace. Lo ciel seguente, c’ha tante vedute, quell’ esser parte per diverse essenze, da lui distratte e da lui contenute. Li altri giron per varie differenze le distinzion che dentro da hanno dispongono a lor fini e lor semenze.

Rispuose a la divina cantilena da tutte parti la beata corte, ch’ogne vista sen più serena. «O santo padre, che per me comporte l’esser qua giù, lasciando il dolce loco nel qual tu siedi per etterna sorte, qual è quell’ angel che con tanto gioco guarda ne li occhi la nostra regina, innamorato che par di foco?».

Al suon di colpi gravi, Inciamperan ne l’ossa d’un parente. Al subito tremor d’intima guerra Si curveran le fronti, e sordamente Cadran le picche a terra. .... O razza, o razza conculcata e ignava; Cui nulla giova l’esser bella e forte, Se null’altro sai far che darti schiava. Meglio per te la morte!...

che, ben che da la proda veggia il fondo, in pelago nol vede; e nondimeno èli, ma cela lui l’esser profondo. Lume non è, se non vien dal sereno che non si turba mai; anzi è tenèbra od ombra de la carne o suo veleno. Assai t’è mo aperta la latebra che t’ascondeva la giustizia viva, di che facei question cotanto crebra;

Mentre su i dubbi de l’ignare genti, O trapassata, il teschio tuo sorride Mostrando i tersi denti, Del tuo spirto la vivida scintilla Ne l’esser mio che morir

Non fu latente la santa intenzione de l’aguglia di Cristo, anzi m’accorsi dove volea menar mia professione. Però ricominciai: «Tutti quei morsi che posson far lo cor volgere a Dio, a la mia caritate son concorsi: ché l’essere del mondo e l’esser mio, la morte ch’el sostenne perch’ io viva, e quel che spera ogne fedel com’ io,

D’i Serafin colui che più s’india, Moïsè, Samuel, e quel Giovanni che prender vuoli, io dico, non Maria, non hanno in altro cielo i loro scanni che questi spirti che mo t’appariro, hanno a l’esser lor più o meno anni; ma tutti fanno bello il primo giro, e differentemente han dolce vita per sentir più e men l’etterno spiro.