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Sultana intanto, i cui pensier confonde De l'amato signor speme e paura, A Licasta diceva: omai ne l'onde Il sol trabocca, e tutto il ciel s'oscura, E pur de' messaggier nessun risponde Qual del mio caro Re sia la ventura: Tanto ha di forza quel latin guerriero, Che consumi l'assalto un giorno intiero?
Ma su questo poema convien leggere le lettere del Chiabrera a Bernardo Castello, che si stampano dal sig. Ponthenier; essendo in esse la storia minutissima dell'Amedeida. Prende le forme di Licasta, e muove Così la Furia di Sultana al letto; Onde ella di distor faccia sue prove Dal desio di pugnar il Re diletto. Prega essa; ma pregar nulla ha che giove, Nè ardore ammorza nel guerriero petto.
Ella, che sa quanto languisce, e quanto Ne le vene Ottoman chiude d'ardore, Creder non vuol, che di Sultana al pianto Non pieghi alfine intenerito il core. Dunque sen vola; e su per l'aria intanto Lascia il sembiante, e l'infernal terrore, Fassi Licasta, ch'a Sultana in culla Diè la mammella, e la nudrì fanciulla.
Infra la turba lagrimosa e trista, Ch'al chiamar d'Ebrain mossero il passo, Venne Licasta, ed a la flebil vista Ella si feo come insensibil sasso; E quando a favellar forze racquista, Gridò gemendo: o del mio viver lasso E de gli affanni miei solo sostegno, In quale guisa a ritrovarti vegno?
Parola Del Giorno
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