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Dunque sarò sfortunato amante, E fia la fede mia mal gradita, Ch'oggi per mio conforto, e per tuo scampo Tu mi rifiuti fra tante arme in campo? La Donna udendo, di stupor non poco L'anima adempie, indi formò tal note: Panta quando lasciasti? ed in che loco? Spavento de' suoi rischi il cor mi scote.

Tu ’l sai, ché non ti fu per lei amara in Utica la morte, ove lasciasti la vesta ch’al gran sar

FERDINANDO e MIRANDA. Ve l'auguriamo. Vieni come il baleno! A Ferdinando e Miranda. Grazie. Exeunt. O Ariele Vieni! Sono presente al tuo pensiero. Quale è il piacere tuo? Spirto, bisogna incontrar Calibano. O mio padrone, quando condussi Cerere, pensavo di parlartene, ma temetti allora d'irritarti, facendolo. Ripeti: dove lasciasti quei marrani? Dove ti dissi, o mio signore.

"Ti ringrazio (e la strinse al cuore)! morirò più contento per averti abbracciata! Oh così potessi serrarmi al petto almeno una volta ancora mia figlia: ma dimmi, dove lasciasti Rina? si trova ella in luogo di sicurezza? non v'è possibilit

Or ti piaccia gradir la sua venuta: liberta` va cercando, ch'e` si` cara, come sa chi per lei vita rifiuta. Tu 'l sai, che' non ti fu per lei amara in Utica la morte, ove lasciasti la vesta ch'al gran di` sara` si` chiara. Non son li editti etterni per noi guasti, che' questi vive, e Minos me non lega; ma son del cerchio ove son li occhi casti

Tu sei ben dessa, e me ne sono assicurato, che con piú d'una guardatura ho confrontato l'imagine tua con quella che nel cuor impressa mi lasciasti. CONSTANZA. O marito, marito caro, che, avendo perduta la speranza di non averti mai piú a rivedere, or veggendoti e abbracciandoti, non lo credo.

Tu 'l sai, che' non ti fu per lei amara in Utica la morte, ove lasciasti la vesta ch'al gran di` sara` si` chiara. Non son li editti etterni per noi guasti, che' questi vive, e Minos me non lega; ma son del cerchio ove son li occhi casti di Marzia tua, che 'n vista ancor ti priega, o santo petto, che per tua la tegni: per lo suo amore adunque a noi ti piega.

"Ed io, mi guarda, amico, io son la mite Ora che prega, che teco inginocchiata, ove il materno occhio vegliava, il tenero sospiro della Fede sorella al sen raccolsi. Andar senza di me, forte non lieto, sciogliesti poi, nume a te stesso. E ancora sulla soglia ti aspetto ove negletta mi lasciasti, se mai d'una cocente stilla di sangue ti lacrimi il cuore, o se disperazion dai desolati cieli più nera piova. Invan tu speri dimenticarmi. A chi bevve profonda la mia dolcezza in sul mattin, più lunga di me nel vespro torner

O catene, o prigioni, o sferzate ricevute da' mori, quanto veramente mi eravate piú dolci; o perigli di mare, quanto mi eravate piú soavi; o mare, mio nemico capitale, perché mi lasciasti vivo, mi hai posto in questi travagli! Andai in Barbaria per acquistare danari, e perdei me stesso; per far conti col mio compagno, vi lasciai la persona.

SIMBOLO. Non era in chiesa, ché non era ancor venuta; ed io, per avanzar tempo per gli altri negozi, non l'aspettai. DON IGNAZIO. Perché non lasciasti tutti gli altri per aspettar lei? SIMBOLO. Che sapeva io che desiavate ciò? Se potesse indovinar il vostro cuore, sareste servito prima che me lo comandaste; e se a voi non rincrescerá comandarmi, a me non rincrescerá servirvi.