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45 Poi che 'l venne e che lasciaro il letto, a Fiordispina s'augumenta doglia; che Bradamante ha del partir gi

Perché serv'io a chi mi rifiuta? perché domando chi mi scaccia? perché seguo chi mi fugge? perché amo chi m'ha in odio? Ah Flamminio! Non ti piace se non Isabella. Egli non vuole altro che Isabella. Abbisela, tenghisela; ch'io lo lasciarò o morrò. Delibero di non piú servirli in questo abito piú capitargli innanzi, poi che tanto m'ha in odio.

Astolfo e Sansonetto con l'assunto riman del grande esercito fedele. Fiordiligi col cor di timor punto, empiendo il ciel di voti e di querele, quanto con vista seguitar le puote, segue le vele in alto mar remote. 35 Astolfo a gran fatica e Sansonetto poté levarla dal mirar ne l'onda e ritrarla al palagio, ove sul letto la lasciaro affannata e tremebonda.

CARIZIA. Troppo vile e indegna è quella persona che si lascia vincere in amore; e se piacerá a Dio che siamo nostri, allora faremo contesa chi amerá piú di noi, ed io dalla mia parte non mi lasciarò avanzare da voi. Adio. DON IGNAZIO. Ecco tramontata la sfera del mio bel sole, che sola può far sereno il mio giorno. O fenestra, è sparito il tuo pregio.

Mostrava ancor lo duro pavimento come Almeon a sua madre fe' caro parer lo sventurato addornamento. Mostrava come i figli si gittaro sovra Sennacherib dentro dal tempio, e come, morto lui, quivi il lasciaro. Mostrava la ruina e 'l crudo scempio che fe' Tamiri, quando disse a Ciro: <<Sangue sitisti, e io di sangue t'empio>>.

DON FLAMINIO. In cosa ch'importa non si deve burlare. LECCARDO. Io penso che tu vogli burlar me. DON FLAMINIO. La burla insino adesso l'ho ricevuta in piacere, ma or mi noia. LECCARDO. Lasciarò le burle e dirò da dovero. DON FLAMINIO. Or di', in nome di Dio, e non mi tener piú in bilancia: parla. LECCARDO. Ho tanto corso che non posso parlare: non ho fiato.

Mostrava ancor lo duro pavimento come Almeon a sua madre fe' caro parer lo sventurato addornamento. Mostrava come i figli si gittaro sovra Sennacherib dentro dal tempio, e come, morto lui, quivi il lasciaro. Mostrava la ruina e 'l crudo scempio che fe' Tamiri, quando disse a Ciro: <<Sangue sitisti, e io di sangue t'empio>>.

PANDOLFO. Io vi prego, strapriego, arciprego, o mio negromantissimo astrologo, o mio astrologhissimo negromante, che prendiate di me calda e amorevole protezione; e in ricompensa vi darò questa catena d'oro che ho al collo, che vale scudi cinquecento. ALBUMAZAR. Non lasciarò far ogni cosa per aiutarvi. PANDOLFO. Vi raccomando il corpo e l'anima mia!

ARPIONE. Sarò io cosí assassinato da voi? CRICCA. Ah, di grazia, signor Albumazzaro! ALBUMAZAR. Non te lo dissi io? RONCA. Non ti lasciarò mai se non ti farò passare il cuor di mille punture. ARPIONE. In mezzo la strada, di giorno, assassinio grande! RONCA. Tu non scapperai vivo dalle mie mani. ARPIONE. A me questa, eh? CRICCA. Misericordia misericordia!

19 Ruggier che vide il comite e 'l padrone e gli altri abbandonar con fretta il legno, come senz'arme si trovò in giubbone, campar su quel battel fece disegno: ma lo trovò carco di persone, e tante venner poi, che l'acque il segno passaro in guisa, che per troppo pondo con tutto il carco andò il legnetto al fondo: 20 del mare al fondo: e seco trasse quanti lasciaro a sua speranza il maggior legno.