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«Guardate all'Europa. Il suo moto è a repubblica, moto universale che aumenta ogni giorno, che trascina gli intelletti un tempo più schivi, fin Chateaubriand, fin Lamennais. La prima rivoluzione francese, avvenga quando che sia, sar

Montanelli è più noto, perocchè egli ha traversato tutte le evoluzioni della rivoluzione italiana; dal 1848 in poi, ed anche prima, si era fatto rimarcare nelle cospirazioni allora in favor di Carlo Alberto. Montanelli ha portato nella sua vita politica due peccati originali: era poeta e cattolico. Egli ha voluto dissimulare questi due germi di debolezza nell'armatura di acciajo di cui deve essere corazzato un uomo di Stato: ma la poesia e l'odore di sacrestia si sono in lui sempre traditi come l'odore del muschio. Di quinci tutte le oscillazioni, le fiacchezze, i cangiamenti, i disinganni, le aspirazioni inopportune, l'inconsistenza che hanno segnalato la carriera politica di lui. Montanelli è stato tutto, a causa di ciò egli ha adorato Carlo Alberto, Pio IX, Mazzini, Lamennais, Proudhon, il principe Napoleone, la repubblica, l'impero, la federazione, oggi l'unit

Non m'avanza quindi vestigio di quella lunga attivissima corrispondenza con uomini di terre diverse, da una lettera infuori diretta a Lamennais e della quale un amico di quest'ultimo serbò copia. E la inserisco come indizio delle idee che mi dirigevano in quella molteplice corrispondenza. «12 ottobre 1834. «Signore.

Con l'elevazione delle moltitudini l'imperatore niente altro temeva più, se non lo scontento delle moltitudini. Il grido silence aux pauvres! che un tempo Lamennais aveva designato come la parola d'ordine della borghesia, valeva anche sotto Napoleone III, ma in un nuovo senso: tutto nella nuova Francia era lecito dire, salvo che non al popolo. Donde il terribile bavaglio del pensiero, dallo stesso primo imperatore appena raggravato, che dalle medesime moltitudini non era sentito immediatamente come una compressione, ma che pure per cagion loro veniva mantenuto fermo. Innegabilmente il bonapartismo si è tenuto lontano da «quel colpevole e imprevidente lasciar andare, che si adorna talvolta col nome di libert

In Parigi ebbi a confermarmi nelle idee, nudrite ed espresse fino dal 1835, che la Francia era per molti anni perduta e che l'iniziativa del moto Europeo era da trovarsi altrove. Vidi Lamennais, Flotte, Giulio Favre e quanti mi parevano all'uopo, fino al principe Napoleone Bonaparte, antico cospiratore con me finchè gli Orléans reggevano. Non v'era speranza. Gli animi erano travolti da gare di parte, da stolte paure, da rancori personali, e smarrivano il segno. M'affannai inutilmente a dimostrare a quanti vennero a segreto convegno con me, che il vero unico pericoloso nemico della Repubblica era il Presidente, e che importava anzi tutto togliergli forza di compier disegni, evidenti fin d'allora per me. La borghesia, impaurita dei pazzi sistemi che assalivano la propriet