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Tina era vestita: rimise lo specchio al solito posto, si abbassò ancora sulle ginocchia per rimirarvisi, versò da un'altra bottiglia qualche goccia di odore nel fazzoletto; ma Bettina gridò tendendo le palme: Anche a me, anche a me. Tina si sentì mancare sotto le gambe. Nuovamente il sudore l'inondava, ricadde sulla sedia col fazzoletto fra i denti, orribilmente pallida.
Era piccolo, dal viso rubizzo, e sempre allegro. Quando veniva in casa a pranzo, ed accadeva spesso, aveva sempre nelle tasche qualche cartoccio, un giocattolo o una ghiottoneria, che si divertiva a mostrarle, affermando sempre che era per un'altra bambina. Allora cominciava la solita lotta di carezze e di repulse: Tina gli saliva sulle ginocchia, gli cacciava la mano nelle tasche, l'inondava di baci strillando, ridendo, coll'irresistibile grazia dell'infanzia, finchè la mamma non le veniva in aiuto, ed egli cedeva vinto dalla tenerezza. In casa lo chiamavano il signor Gennaro. Ma la bambina si era accorta che tutto aveva cangiato dal giorno che egli era venuto. La mamma vestiva da signora, a pranzo non si levava più come prima qualche cosa per la cena: poi avevano cangiato appartamento, e vicino alla camera della mamma piena di mobili nuovi, c'era un salottino con un sof