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Se lo Zacconi si fosse contentato di dire soltanto: L'Ibsen ha voluto così quel personaggio di Osvaldo e, ove gli fosse sembrato necessario, si fosse spinto fino a dimostrarlo, la risposta sarebbe stata degna di quel grande artista che egli è.

E passi per l'Ibsen, passi pei romanzieri russi! Nell'uno e negli altri il concetto ha preso vera forma; l'uno e gli altri hanno creato persone vive della loro nazione, del lor tempo. Il cosmopolitismo va più in l

Avrebbe potuto meglio rispondermi: Morta una forma d'arte, ne vien fuori subito un'altra; non c'è più il poema, ma c'è il romanzo; non c'è più Shakespeare, Molière, Goldoni, ma ci sono l'Ibsen e, meglio, i drammettini del Maeterlink a proposito del quale si è fin parlato di Shakespeare redivivo. Eh, via, amico mio! Mi conceda di ripetere le sue parole.

Altre persone sopraggiungono; i contadini col cadavere stanno per arrivare: bisogna affrettarsi. Finalmente il vecchio si decide a picchiare all'uscio. Dietro i vetri si vede costui nell'interno; si scorgono i gesti delle persone, il precipitarsi di esse verso l'uscio... e cala la tela! Ah, c'è l'Ibsen che pensa per lui e per gli altri!

In ogni modo, è strano che un attore faccia la distinzione di tre Ibsen, uno filosofo, l'altro simbolista, il terzo l'artista, e dica che questo è il meno a cui si deve badare. L'Ibsen, al contrario, chiede di essere considerato principalmente come artista. Per lui tutta l'opera drammatica consiste nell'azione, nei caratteri.

Per condurle sul palcoscenico, l'Ibsen non bada alle forme drammatiche usate altrove.

Ma l'Ibsen fa precisamente come Shakespeare, come il Verga, come tutti coloro che sanno che voglia dire teatro; quando non si rammenta che deve pensare, e far pensare i suoi personaggi, è scrittore drammatico di prima forza. Il male è che all'ultimo se ne rammenta e guasta ogni cosa. E per questo il pubblico si stizzisce con lui.