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Chiarissimo tra i rifuggiti in Valtellina è Pier Paolo Vergerio, che spedito nunzio del papa in Germania quando più il luteranesimo acquistava, caldamente operò a bene della vera fede. Le sue lettere spirano religione, vivo zelo per gl'interessi di Roma e speranza di richiamare sul cammin dritto Lutero, col quale anche s'abboccò. Ma tornato, quando attendeva la porpora in premio di sue fatiche, l'invidia il bersagliò di maniera che, allontanato da Roma, fu messo vescovo prima a Mondrussa in Croazia, poi a Capodistria sua patria. Ivi egli pose studio a correggere gli abusi della sua Chiesa, allontanare il convento delle monache da uno attiguo di frati, cessare le leggende di san Cristoforo e del drago di san Giorgio, levare certe strane effigi, negar ai santi la protezione speciale su certe malattie, togliere le tavolette dei miracoli. Per questo gli furono addosso i frati zoccolanti ed altri operosi nemici quali il celebre Muzio, povero arnese che la corte romana pagava allora come suo campione, e monsignor della Casa, l'autore del Galateo, che lo dipinsero come luterano marcio nel cuore. Tali accuse acquistavano allora facile credenza, come una volta le stregherie e nei tempi a noi vicini quelle di giansenista e l'altre generiche, a cui la vaghezza toglie di esser colpite di risposta. Il Vergerio si condusse al concilio di Trento, a radunar il quale efficacissima opera aveva prestata, ma ne venne rigettato: ricovrò a Padova e sentendosi o temendosi ricercato fuggì in Valtellina, e fu sentenziato d'eresia. Chi sente la rara virtù di resistere con tranquilla mente agli iterati colpi della fortuna, ossia della malvagit

Ricordative che voi mi proponeste questo partito e io era piú avido rifiutarlo che accettarlo, ché alla mia prole non mancano matrimoni nella sua patria. Ma voi tanto mi sollecitaste e mi postulaste con iterati internunzi e chirografi, che mi facesti cadere; e or con le parole non s'accordano i fatti. MORFEO. Che volete, pa... pa... padre caro?

Un desío, ne la torbida notte di primavera, li aduna; e li conduce a lidi più lontani. Desío d'amori umani forse li accende ancora. A 'l lor remeggio s'aprono l'acque in raggianti anelli, e fan soave crepito come innanzi a una prora; cui rispondon con lento murmure li arboscelli, cui talvolta rispondono ne 'l gran silenzio intento con iterati suoni, come d'un riso, li echi.

32 Ma scusimi apo voi d'un error tanto, ch'io non ho voi gli altri conosciuto; e s'emendar si può, ditemi quanto far debbo, ch'in ciò far nulla rifiuto. Poi che si fu da questo e da quel canto de' complessi iterati al fin venuto, rispose a lui Rinaldo: Non vi caglia meco scusarvi più de la battaglia: 33 che per certificarne che voi sète di nostra antiqua stirpe un vero ramo, dar miglior testimonio non potete, che 'l gran valor ch'in voi chiaro proviamo.