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Sorgeva impetuosa, incamminandosi con passi veloci alla volta di Gisfredo, il quale, dando indietro meno cautamente, inciampava dentro uno sgabello con molto fracasso: l'evento lo turbava, perdeva la direzione della porta; tentando il muro, quanto più ne andava in traccia, tanto più se ne allontanava. Yole (però che Yole fosse la lamentosa), al rumore fatta furente, gli era sopra, gi

Il Conte della Cerra, spediti i Corrieri, tornava al palazzo; per via andava pensando: giudica, testa mia, se il destro di scoprirsi è arrivato; avesse Gisfredo preoccupato il passo? fingesse Manfredi con noi? Veramente Gisfredo non mi occorre più innanzi gli occhi, e Manfredi è capace di questo, e d'altro. Ma Gisfredo non può avergli detto il come, e il quando.... no.... io non glielo ho mai confidato, e buona previdenza fu questa; dunque potrebbe essere una mia confessione tuttavia necessaria, e premiata. Chi mi assicura che Manfredi mi dar

«Noi siamo perdutiavvilito mormorava il Conte Anselmo «e che lo aveva avvertito a cotesto imbecille: vogliono i delitti, e non sanno soffocare i rimorsi; un giorno innanzi ch'io lo avessi ucciso, ogni cosa era salva.» E qui mise senza pensare la mano sotto il farsetto, e ne trasse un pugnale: Gisfredo, sorgendo, si allontanava.

«Io vi protesto, Messere, che Gisfredo è vago di danari come il cane delle mazze; ma l'opera ch'io disegno fare in pro vostro, non può in nessuna altra maniera mandarsi a fine se non che col danaro; i tempi corrono difficili, la natura umana si corrompe ogni giorno di più, e vi sono di tali marrani che non vi farebbero piacere manco col pegno.» «E tu ne sei prova e argomento

Stettero muti alcuni istanti: finalmente il Conte discorreva, volgendo la testa: «Gisfredo, dove sei ito? ritornami allato; perchè ti stai discostoPoi vedendosi il pugnale nella destra, lo riponeva continuando: «Vivi sicuro, non sai che nessuno uomo adesso mi è più necessario di te?» e tra i denti aggiungeva: «La tua ora non venne.» «Dice bene il Messere, v'intendo anche ritto

Gisfredo con passi storti e leggieri, con le orecchie attente, per farsi maggior pregio presso il Conte Anselmo, penetrava nelle più riposte stanze reali: i fati lo portavano; perviene entro un andito lunghissimo, con la mano alla parete, in punta di piedi, senza trarre un fiato si mette a percorrerlo; lo percorre, giunge ad una sala, abbandona la scorta del muro, e va oltre: non poteva essere anche a mezzo, quando un gemito represso lo avvertiva, quivi dimorare gente; stava, un lamento femminile fece suonare il vasto edifizio.

«Va per le corte, Gisfredo; sei stato in pericolo di vita? il gran caso che ti avessero ucciso! mancano ghiottoni in questo mondo!» «Dice bene il Messere. Dunque vi basti sapere ch'io fui salvo.» «Questo io gi

«Troppa graziarispose sorridendo il Conte della Cerra; e cavata una chiave, schiuse una porticella assicurata da forti sbarre di ferro. Ciò fatto, vi sporse il capo e chiamò: «Gisfredo! GisfredoDopo poco tempo comparve una testa, poi le spalle, e il petto di un uomo, come quando ascendiamo una scala.

Eseguiva Gisfredo i comandi del suo signore, un po', e qui s'ingannava, riputando di ricavarne qualche gran premio, un po' per inclinazione: entrava in Corte, e come quegli che era scaltro davvero, adesso mostrandosi carezzevole, adesso contegnoso, qui usando cortesia, l

Gisfredo stese la mano come persona avvezza a simili presenti, se gli ripose sotto la veste, ringraziò inchinando il capo, e tornò nel primo atteggiamento. Anselmo aggiungeva: «Fisco coll'anima, or che gli hai avuti, dimmi almeno che vuoi farne