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Ma non vorrei esser posto in sacrato, se non pensassi fare, anzi quel punto, vendetta e strazio di quella frittella che n'è cagione. PILASTRINO. E che pensi di fare? se Dio ti guardi, come ha fatto i denti, ancor la vista. GIRIFALCO. Se mai viene il tempo... Non vo' dire altro. PILASTRINO. Forniscel di dire. Che la farai, come ti vien dietro, morir forse in sul buco?

Or veggio meglio che nol posso fare e mancare a' miei detti: ond'io, in ciò, voglio che la necessitá l'errore iscusi. Ma non ti veggio, Girifalco, lieto com'io vorrei.

Pilastrino, ricercando qualche suo amico vecchio per mangiar seco, si imbatte in Girifalco e, per ire a cena seco, lo invita a cenar con lui; ed è dal vecchio scorto, onde il disegno vien fallato. PILASTRINO. Che farai istasera, Pilastrino? S'accosta ora di cena, e tu in casa non hai pan fuoco. Sono ora in piazza.

GIRIFALCO. No, no. Sono oratori de' veniziani. Parti che sia onesto che venga a star fra lor? PILASTRINO. Sono oratore anch'io, per questo; ma non so concludere. Non avrò premio da la mia republica. Vatti con Dio. S'io non ti pelo, un tratto, quella barbaccia nido di piattoni, non sarò mai contento.

GIRIFALCO. Oimei, anima mia! ché sarò morto prima ch'io t'abbi. PILASTRINO. Or abbiam bello e fatto. LISTAGIRO. Rimedio non v'è piú. GIRIFALCO. Son morto. Aiuto! Misericordia! Oimè! O Pilastrino, m'han preso per il collo. PILASTRINO. Oimei! Fo voto Mi portano ancor me. GIRIFALCO. San Gimignano! Una testa di cera, s'io ne scampo. Ribbaldella, sarai pur di me sazia, che sei cagion di questo.

PILASTRINO. Ferma! GIRIFALCO. Satenasso! PILASTRINO. Tien quest'altra, per burla. GIRIFALCO. Gambatorta! PILASTRINO. Sta', Girifalco, se ben fossi tócco: ché vengono or. LISTAGIRO. Senti com'io son destro! GIRIFALCO. Maladies! PILASTRINO. E 'l malanno! Taci, un tratto. Lascia fornir l'incanto. LISTAGIRO. Párochros chiè sapròs, hipnilòs, philárghiros, chriódis... ! Tien. Ben tócco.

Chi sentisse parlar costui del modo e de la via del non mangiar ber non penserebbe che fosse un Ippocrasso o un Gallinello? Cosí c'è dotto! GIRIFALCO. Per grazia di Dio, sempre ho trovato che mi giova assai non m'acciarpare. E vedi che ho passato di molto il tempo che la maggior parte non suol passare. Ma che c'è di nuovo? In piazza che si fa?

Che ti porti dov'è colei che ti può dar salute e tòr d'angoscia. GIRIFALCO. Aimè! che sarò morto prima ch'io n'esca. PILASTRINO. Va'. Se non moro io in questo mezzo, sará forse troppo presto per te. GIRIFALCO. Non vorrei esser nato prima ch'esser cosí. PILASTRINO. Fai grande errore a dir tal cose. Oh! Se 'l sapesse Lúcia, e che direbbe de la tua incostanza?

E quel poltron di Lucifero porco facciami come vuol, se ben volesse farmi in pasticci o in brodo o in gelatina. Ma, per parer ch'io non parlo col vino, vorria contarvi pur di questi pazzi: di Girifalco vecchio; e di Crisaulo; e quello scimonito di Filocrate ch'al fin si mangia, in cambio di perdice, la carne de la madre di san Luca tutto l'anno avocata dei tinelli. So ben ch'io sono inteso.

GIRIFALCO. Deh! non ti partire. E dove, Pilastrino? Una parola odi, se vuoi. PILASTRINO. Non giá da quello orecchio. Di': che ti manca? GIRIFALCO. Cávali la cappa. Non odi, Orgilla? Vo' che desni meco, se non ti è grave. ORGILLA. Or che se l'ha cavata, il briacon, mio danno, se ogni mese non ci torna a veder. Parti governo, questo, di casa?