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GIRIFALCO. Ecco, or costui mi vuol brugiar di qualche bolognino con queste parolette: ché son fatti come 'l tizzone. Ma son bene allegro, se mena il negromante. Entrerò in casa: ché mi par di sentire un ventarello non molto sano. Siro servo, non introdotto in altro luogo che in questo, parlando con Timaro, apre e lume a la favola: e questo è costume degli antichi comici. SIRO. TIMARO servi.

PILASTRINO. Possa sfogar tanto che ne rimanga agghiacciato per sempre. Non restar giá per me. GIRIFALCO. Sempre ho stentato; mai mi ho tolto un'ora di buon tempo, in questa vita, per non stentar sempre. Ed or che l'etá mia richiederebbe qualche riposo e d'animo e di corpo, cosí dentro mi sento travagliato, inquieto e confuso che desio talor la morte come cosa dolce.

PILASTRINO. , vidi poi a l'uscire, che fu in sul buio; ma non so giá dirti quel che v'avesse fatto. GIRIFALCO. Aimè tapino! Perché voglio piú viver? Prego il cielo che faccia in modo ch'io mi rompa il collo prima ch'abbi a morir di questa morte. Cara la vita mia, non ti ricordi giá piú di me. Tu mi fai pur gran torto, ché sai che 'l primo non ti cercava.

Quello andar carpone che non sia qualche mal! ché non ne ho visto alcun cosí. LISTAGIRO. Perché intraviene a pochi tanto invecchiare. E non è poi gran cosa, quand'altri si ci avvezza. GIRIFALCO. E come è questo? haine mai tu veduti?

PILASTRINO. Del tuo resto, s'io posso. GIRIFALCO. Ghiottoncella, che m'hai cavato il fiato! Ma ti voglio cavare a te de gli occhi quel riso e quelle frasche. PILASTRINO. E però è buono che sia venuto qui questo mio amico; perch'è persona che ti saprá dire la cosa come sta e forse trarti d'ogni tuo affanno. GIRIFALCO. E che induggiamo, adunque? PILASTRINO. Non si può far, di giorno.

GIRIFALCO. , quando è l'estate. LISTAGIRO. E 'l verno? GIRIFALCO. Maffenò, ché allor mi lavo sol con la calda. LISTAGIRO. Ho veduto a la prima. Oh bella vita! oh bei monti! oh begli anguli! oh che bei segni! oh! gran particolari v'è da vedere! Io, per me, mai non vidi la piú felice man. Guarda, messere.

Tu se' pure, oggi, strano! Non t'empierebbe.... PILASTRINO. E ! Dici da vero? Tu vuoi tener me a cena con un'oncia di carne e con guazzetti? Tu mi vuoi far ridere, oggi. Or veggio ben che Amore qualche volta ti trae del seminato. E poi sei vecchio. Dammi a me i danari, ché comprerò da cena onestamente. E non esser scarso. GIRIFALCO. Ecco i danari. Piglia quel che bisogna.

CRISAULO. Io l'ho detto dal primo giorno, che l'andar di fuori era appunto al mio male erba trastulla; ma nondimen, per esser poi iscusato, non ho voluto mancar d'ogni sforzo. Ma non è in poter nostro. GIRIFALCO. Eh!

PILASTRINO. ' giú, ch'io 'l voglio, il cuore. Che fai? Par che rineghi anche il battesmo. O Girifalco, tu sei diventato un gran biastemmiatore. E poi sei vecchio e mostri esser saputo! GIRIFALCO. Io son perduto piú che ora. Vo' chiamare il diavolo. Diavol! PILASTRINO. Di' forte, ché non ti può udire. ! che ti porti presto. GIRIFALCO. Che hai detto? PILASTRINO. Che? non m'hai forse inteso?

Sará forza legarlo, inanzi agosto, a la senese. Voglio udir ciò ch'ei dice, qui da canto. Or di' , mestolon, cancar ti venga! Girifalco si lamenta d'Amore. Pilastrino lo ammonisce schernendolo; e, non potendo ultimamente mangiar seco la mattina, si fa dar danari per comprar da cena e promettegli di menar l'altro parasito il quale gli aveva giá fatto credere che fosse negromante.