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Tale fu, fin verso il finire di luglio, il linguaggio tenuto al Governo Francese dai vostri. credo che, da quando il trattato di Vestfalia inaugurò quel congegno di menzogne e d'inezie che nominano diplomazia, si tenesse mai da un Governo linguaggio più imprudente e più stolto. Alla Francia, della quale si pronunciava potersi un o l'altro richiedere l'ajuto, il Governo Sardo diceva: «Non vi stimiamo leali: diffidiamo altamente di voi. Non vogliamo gli ajuti che ci profferite, oggi che le vostre armi congiunte alle nostre vincerebbero senz'altro la guerra; ma, se un giorno cadremo, allora, cadendo, vi chiameremo. Non potremo più allora secondarvi. I danni, i pericoli della guerra saranno tutti vostri. Nondimeno, dopo avere ricambiato le vostre offerte con orgoglio e disprezzo, v'invocheremo, giacendo, a fare per noi, senza vostro pro, ciò che noi non potemmo; e se non vorrete, vi accuseremo di tradimento al principio, aborrito da noi, che rappresentate.» E all'Italia, pur predicando: fate, da voi, temete gli ajuti di Francia, il Governo liberatore diceva: «tenete le baionette di Francia in serbo pel giorno nel quale dovrete invocarle nel terrore e nella vergogna della disfatta: rifiutatele oggi che potete averle onorevolmente alleate; le accetterete quando avrete perduto ogni diritto a moderarle e giovarvene senza pericolo. Sdegnate, irritate col sospetto lo straniero che vi si offre fratello, e che voi, forti e rispettati, potete contener nei limiti della fratellanza; ma preparatevi fin d'ora a chiamarlo supplici, quando nulla gl'impedir

Tocca adesso a voi di giovarvene tutti alacremente, e di provvedere cosí alla vostra salvezza. Che voi siate deliberati a farlo con tutto lo zelo, con tutta quella sagace ponderazione ch'è richiesta dal supremo momento, chi può dubitarne? Non io, di certo.