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Gian Luigi vinceva da un quarto d'ora e i gettoni di Lidia restavano inoperosi: il vincitore tentava sorridere come per iscusarsi, ma Lidia, cogli occhi sulle carte, la testa un po' chinata in avanti, non lo vedeva; era una pessima giocatrice, Lidia; non aveva sangue freddo, non sapeva mascherare la sua emozione, che si tradiva in graziose smorfie del viso.

Ma venne l'ora della partita, e don Alessio non transigeva: si preparò il tavolino, con il lume, le carte, e le solite fave per gettoni; i due avversari presero posto l'uno di faccia all'altro, motteggiando; donna Costanza sedette al suo con la calza. Coppe. Bastoni.... Danaro. A lei. E al tono della voce, e al modo che don Alessio pronunziava quel «a lei» si capiva che cominciava a stizzirsi.

Eravamo seduti così presso, alla tavola del «trente et quarante», che un sottile velo di cipria, staccandosi dal suo braccio seminudo, impolverava leggermente la mia manica nera. Giocava con febbre, giocava con irritazione, spingendo sul tavoliere, ad ogni colpo, senza nemmeno contarli, grossi mucchi di gettoni e di denaro.

Se vuole la rivincita di iersera, disse Lidia a Gian Luigi, accorgendosi che da qualche istante era distratto.... Si levarono ambedue e si portarono innanzi al tavolino verde, prendendone dal tiretto le carte e i gettoni. Stasera sono formidabile, mormorò il Sideri finalmente. Accetterei qualunque avversario. Non vendere la pelle prima d'ammazzar l'orso, diss'io.

Poi, quando Gian Luigi riprendeva, Lidia marcando due gettoni annunciava: À vol, e dava in un nuovo scoppio di risa; al Gian Luigi intontito. Ma quella sera in cui ci trovavamo soli noi tre, le buone carte parevano accorrere fra le mani di Gian Luigi, troppo generoso per ridere della disdetta di Lidia, quantunque ne avesse quasi il diritto.

Nel mio salotto, non si giuocava; i gettoni e le carte erano abbandonate sul tavolino, qualcuna per terra. Lidia sedeva sullo sgabello innanzi al piano-forte; Gian Luigi sopra una poltrona, all'angolo estremo della camera. Mi manca l'ultima strofa, diceva Gian Luigi. Volevo trovare un pensiero grazioso, un po' francese, sa, una specie di birichinata elegante; ed è difficile....

Aveva passato dieci o dodici volte, ed un monticello considerevole di luigi, di viglietti di banca, di gettoni, denunziava il suo successo. La vena continuava. Il vento gonfiava tutte le vele del suo naviglio conquistatore. Non restava più un soldo avanti in tasca dei suoi avversari.

Quando avvicinò alle mie dita le labbra, per accendere la sigaretta, i suoi occhi risero, tutto il suo volto rise; non mi ringraziò, scosse indietro la fronte, pose ancora denaro sul mucchio di gettoni che le appartenevano