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«Marziaesclamò il Gesuita. «Marzia» ricominciava il prete, e quella voce risvegliando forse nella memoria della fanciulla chiss

Vi era nell'accento del padre Piombini qualche cosa di così penetrante, di così toccante, che Bambina non trovò nulla a rispondere. Ella vedeva quell'uomo sotto una luce nuova, al fisico come al morale. Il gesuita non esisteva più che quasi come una memoria benefattrice. L'ammirazione, il rispetto, la riconoscenza, un fascio di sentimenti femminini nuovi, qualche cosa di incognito e d'indefinito che circolava nelle sue vene ed ossidava il suo sangue, un'aureola iridata e vagabonda che solcava il suo guardo interiore, paralizzavano la sua lingua, precipitandovi motti incoerenti e tumultuosi. Il gesuita interpretò quel silenzio in cattiva parte. Credette comprendere che ciò che aveva fatto non bastasse per la giovinetta e soggiunse: Nel mondo, io era un giorno il conte Bonvisi. Se ciò vi sorride meglio che il pastor protestante, noi possiamo fermarci in Inghilterra. Io reclamerò la mia fortuna. Lasciando la Societ

Bonaventura notò quell'accento, e fu sollecito a chiederle che cosa avesse. Un po' di stanchezza; disse la marchesa. Sono tornata da pochi minuti in casa. Da San Silvestro, forse? . E come va? chiese il gesuita, a cui quella breve risposta non poteva bastare. La poverina era tanto abbattuta, che non ho ardito parlarle di nulla.

Eccoli alla quistione. Il gesuita ringuainò la sua logica e le disse per addio: Figliuola mia, attendo oggi o domani il risultato di una pratica gravissima che ho fatto. Domani sera, a mezzanotte, verrò a parteciparvelo. Ciò ci riguarda. A mezzanotte! sclamò Bambina. Ma Concettella è l

Battista, gli disse il padre Bonaventura, alzando il capo dalla scrivania, e assumendo un'aria tra inquisitoria e patema, io sono molto scontento dei fatti vostri. Signore!... balbettò il maggiordomo. Voi tradite il vostro padrone: proseguì il gesuita. , voi; non istate a farmi quelli occhiacci stralunati. Io lo so di buon luogo. Voi date il vostro padrone in balìa dei suoi nemici.

Probabilmente questo è avvenuto perchè il p. Coloma si è fatto gesuita assai tardi. Gi

Signor Giovanni, proseguì il gesuita, poichè fu cessato quell'assalto di tosse, io non so proprio che dirle. Ella mi ha mandato a chiamare. Son qua. Che cosa dimanda Ella dai suoi nemici? Miei nemici? chiese l'infermo con un gesto di meraviglia. E può credere che io.... , credo che qualcheduno l'abbia data ad intendere a Lei.

Si chiama una cioccolata alla gesuita quella, nella quale, immerso il biscottino, rimane diritto come un palo confitto in terra, senza piegare da un lato, dall'altro. Tale è la cioccolata che io prendo nella sagrestia di Sant'Ignazio, nella prima domenica d'ogni mese, dopo aver fatta la santa comunione.

E' fu allora che il gesuita e Don Diego ebbero un colloquio di parecchie ore, con grande soddisfazione di quest'ultimo. Che gli disse? Molte cose sullo stato sociale, sullo stato politico di Europa, sulla situazione degli spiriti, sulla rivoluzione che si era operata nella coscienza delle masse, sull'essenza del principato al XIX secolo.

Vicino alla finestra, era uno scrittoio con qualche libro di sopra. A lato, un piccolo stipo incrostato di tartaruga. Dietro, un divano molto comodo, in velluto, ed un seggiolone innanzi lo scrittoio, stemmato a corona. L'uomo dal Toson d'oro andò a sdraiarsi sul divano ed indicò al gesuita di tirare il campanello. Questi toccò un bottone e restò impiedi.