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ché quella voglia a li alberi ci mena che menò Cristo lieto a dire ‘Elì’, quando ne liberò con la sua vena». E io a lui: «Forese, da quel nel qual mutasti mondo a miglior vita, cinqu’ anni non son vòlti infino a qui. Se prima fu la possa in te finita di peccar più, che sovvenisse l’ora del buon dolor ch’a Dio ne rimarita,

si` lascio` trapassar la santa greggia Forese, e dietro meco sen veniva, dicendo: <<Quando fia ch'io ti riveggia?>>. <<Non so>>, rispuos'io lui, <<quant'io mi viva; ma gia` non fia il tornar mio tantosto, ch'io non sia col voler prima a la riva; pero` che 'l loco u' fui a viver posto, di giorno in giorno piu` di ben si spolpa, e a trista ruina par disposto>>.

Questa favilla tutta mi raccese mia conoscenza a la cangiata labbia, e ravvisai la faccia di Forese. <<Deh, non contendere a l'asciutta scabbia che mi scolora>>, pregava, <<la pelle, ne' a difetto di carne ch'io abbia; ma dimmi il ver di te, di' chi son quelle due anime che la` ti fanno scorta; non rimaner che tu non mi favelle!>>.

Questa favilla tutta mi raccese mia conoscenza a la cangiata labbia, e ravvisai la faccia di Forese. «Deh, non contendere a l’asciutta scabbia che mi scolora», pregava, «la pelle, a difetto di carne ch’io abbia; ma dimmi il ver di te, chi son quelle due anime che l

così tutta la gente che era, volgendo ’l viso, raffrettò suo passo, e per magrezza e per voler leggera. E come l’uom che di trottare è lasso, lascia andar li compagni, e passeggia fin che si sfoghi l’affollar del casso, lasciò trapassar la santa greggia Forese, e dietro meco sen veniva, dicendo: «Quando fia ch’io ti riveggia?».

che' quella voglia a li alberi ci mena che meno` Cristo lieto a dire 'Eli`, quando ne libero` con la sua vena>>. E io a lui: <<Forese, da quel di` nel qual mutasti mondo a miglior vita, cinq'anni non son volti infino a qui. Se prima fu la possa in te finita di peccar piu`, che sovvenisse l'ora del buon dolor ch'a Dio ne rimarita, come se' tu qua su` venuto ancora?

ché quella voglia a li alberi ci mena che menò Cristo lieto a dire ‘Elì’, quando ne liberò con la sua vena». E io a lui: «Forese, da quel nel qual mutasti mondo a miglior vita, cinqu’ anni non son vòlti infino a qui. Se prima fu la possa in te finita di peccar più, che sovvenisse l’ora del buon dolor ch’a Dio ne rimarita,

si` lascio` trapassar la santa greggia Forese, e dietro meco sen veniva, dicendo: <<Quando fia ch'io ti riveggia?>>. <<Non so>>, rispuos'io lui, <<quant'io mi viva; ma gia` non fia il tornar mio tantosto, ch'io non sia col voler prima a la riva; pero` che 'l loco u' fui a viver posto, di giorno in giorno piu` di ben si spolpa, e a trista ruina par disposto>>.

Questa favilla tutta mi raccese mia conoscenza a la cangiata labbia, e ravvisai la faccia di Forese. <<Deh, non contendere a l'asciutta scabbia che mi scolora>>, pregava, <<la pelle, ne' a difetto di carne ch'io abbia; ma dimmi il ver di te, di' chi son quelle due anime che la` ti fanno scorta; non rimaner che tu non mi favelle!>>.

che' quella voglia a li alberi ci mena che meno` Cristo lieto a dire 'Eli`, quando ne libero` con la sua vena>>. E io a lui: <<Forese, da quel di` nel qual mutasti mondo a miglior vita, cinq'anni non son volti infino a qui. Se prima fu la possa in te finita di peccar piu`, che sovvenisse l'ora del buon dolor ch'a Dio ne rimarita, come se' tu qua su` venuto ancora?