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Di piú, non è mai giorno che non passi mille volte per questa strada dinanzi alla sua casa. DON FLAMINIO. Io non ve l'ho incontrato giamai. PANIMBOLO. Deve tener le spie per non esservi còlto da voi; e quella arte, che voi usate con lui, egli usa con voi. Ma io vi giuro che quante volte m'è accaduto passarvi, sempre ve l'ho incontrato.

DON FLAMINIO. E s'egli prima non lascia la sua io non lasciarò la mia. POLISENA. Io sto in mezzo ad ambidoi, e l'uno non può ferir l'altro se non ferisce prima me, e la spada passando per lo mio corpo facci strada all'altrui sangue. Ma a chi prima di voi mi volgerò, carissimi miei generi, carissimi miei figliuoli?

DON IGNAZIO. Si fusse altro che voi, ch'ardisse dirme questo, lo mentirei per la gola. DON FLAMINIO. Perdonatemi si son forzato passar i termini della modestia con voi, ché quanto ve dico tutto è per l'affezione che vi porto.

L'incendio è passato tanto oltre che mi pasco del suo disamare: di' liberamente. LECCARDO. Vedi questi segni e le lividure? DON FLAMINIO. Tu stai malconcio: chi fu quel crudelaccio? LECCARDO. La tua Carizia me l'ha fatte. DON FLAMINIO. Mia? perché dici «mia», se non vuoi dir «nemica»? Ma pur com'è passato il fatto?

In quel tempo venne anche giustiziato Carnesecchi, amico di Clemente VII. Era il tempo dei riformatori italiani di Giovanni Valdez, di Bernardino Ochino, di Vergerio, di Paolo Ricci, di Antonio Flaminio; il tempo in cui anche cardinali come il Contarini, il Morone, il Polo, venivano citati innanzi l'inquisizione.

E al fin bisogna che si cheti: ché se ben v'uccidesse, non per questo otterrebbe il suo intento. DON FLAMINIO. E non riuscendo quest'apparenza di notte, non so come andarebbe la cosa.

Or mentre ho lingua e ingegno state sicuro. DON FLAMINIO. Comincio a respirare. PANIMBOLO. Ma mentre parlo rivocate voi stesso in voi stesso. DON FLAMINIO. O dolor o rabbia che tu sei, fa' tanta tregua con me fin che ordisca qualche garbuglio, e poi tormentami e uccidimi come a te piace. Ma dimmi, hai pensato alcuna cosa?

Parla talvolta, sta malinconico, mai ride, mangiando si smentica di mangiare, dove prima mangiava per doi suoi pari, la notte poco dorme, sta volentieri solo, e standovi sospira, s'affligge e si crucia tutto. DON FLAMINIO. Io ho osservato in lui tutto il contrario. PANIMBOLO. Perché si guarda da voi solo; mai lo veggio ridere o star allegro se non quando è con voi.

LECCARDO. Credo io ben di no. DON FLAMINIO. Dunque non vòi? LECCARDO. Non voglio e non posso: pigliatevi quale volete di queste due. DON FLAMINIO. Troppo disamorevole risposta. LECCARDO. Troppo sfacciata proposta. DON FLAMINIO. Leccardo, sai che vorrei? LECCARDO. Che fussi appiccato!

EUFRANONE. O Dio, a che sorte d'uomini ho dato in guardia la casa mia! DON FLAMINIO.... non pensandomi che la vostra iracondia avesse a terminar in atto sanguinoso.