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FILACE. Vado. MANGONE. Filace è un gran custode, molto astuto e sospettoso, e teme insin delle mosche. Poi, gabbar me? son un tristo e son ruffiano bastavi questo, e son il maggior ruffiano di tutto il ruffianesmo. FILACE. Mangone, la camera è aperta e dentro non v'è alcuno. MANGONE. Oimè, che m'hai ucciso! FILACE. Come ucciso? MANGONE. Parli pietre, me n'hai dato una in testa che m'ave ucciso.

MELITEA. Poco è conoscer questo, ché l'ardentissimo foco, quasi un lampo, lo porto impresso nel volto. PIRINO. Noi schiavi di Egitto siamo negromanti; e da spiriti folletti che tenemo nelle caraffine indoviniamo quello che volemo. MELITEA. , eh? orsú, indovina chi amo io? PIRINO. Un giovane che si chiama Pi... Piri... Pirino. FILACE. Che ragionate voi di spiriti?

MANGONE. Queste son di soverchio assai; m'avete qui condotto meza Raguggia: mi bastavano due salcicciotti, un prosciutto per segno di amorevolezza. Filace, conduci cotesti giovani dentro, discaricagli e dágli alcuna ricreazione: ponigli assai robbe e vino innanzi e lasciagli mangiare a lor piacere. PANFAGO. Tutto è soverchio, amico caro: basta che bevano una volta per uno. Speditevi tosto.

MANGONE. Se venisse alcuna vecchia con qualche scusa, mandala subito via: ché fa piú una ruffiana in una ora, ch'un innamorato in cento anni. FILACE. Riposatevi nella mia diligenza. MANGONE. Io vo al molo, al raguseo: entra e sèrrati dietro. FILACE. Entro e mi serro dietro. DOTTORE. M'hai tolto la fatica di venire a casa tua.

PIRINO. Se mi promettete non alterarvi di modo che possiate dar sospetto al guardiano, ve lo mostrerò sano e vivo. MELITEA. Non so se potrò far tanta forza a me stessa. FILACE. Parmi che colui che passa colá, sia Pirino. Entrate, entrate; presto, presto, ché non vi vegga. Ma non è desso, restate. PIRINO. Bisogna farla, ché scoprendovi sareste rovinata voi e il vostro Pirino.

MANGONE. O ben, per vita mia! lo schiavo è cosí allegro e festevole, che mi fará viver dieci anni di piú: dispiacemi averlo promesso a Filigenio, ché vorrei tenermelo per mio spasso. Ma poiché Melitea sta cosí disperata, Filace, va' tu su, chiamala, ché venga giú e veggia ballar e cantar questo schiavo che le rallegrará un poco li spiriti.

Ma tu hai fatto un motivo con la bocca, che cosí soleva far egli; e hai parlato con tanta dolcezza e affettuose parole, che par che hai di quel genio che a lui solo fu donato dal Cielo per tiranneggiare e tirare a con dolce amorevolezza tutte le persone. FILACE. Su su, finiamola, ché Mangone viene: ché tanti ragionamenti?

Fra tanto tu da' una scorsa con la vista intorno, ché non passi Pirino o Forca; e passando, falla entrar dentro, nascondila da loro quanto sia possibile. Noi entriamo. FILACE. Entrate sicuro e vegghiate con gli occhi miei. MELITEA giovane, FILACE, PIRINO.

FILACE. I legni vecchi ardono piú volentieri e senza fumo. MANGONE. Sia benedetto Iddio, ché son uscito da quel fastidio: mi facea spender un tesoro per comprar muschio, zibetto e profumi.

DOTTORE. Non lo dubito, ma lo tengo per certo: perché intendo che da Pirino e da Forca ti sia stata sbalzata di casa. MANGONE. Saranno eglino prima sbalzati da una forca. DOTTORE. Di grazia, toglimi da tale ambascia, ché mi bolle nel cor un strano desiderio di vederla. MANGONE. Volentieri. O Filace, o Filace! FILACE. Che volete? MANGONE. Che cali giú Melitea, ché la vuole veder il dottore.