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Anche il contino Candioli volse un'occhiata a quel poveretto e arricciò il naso, come potete immaginare. Comment? esclamò egli. Vous vous occupez de pareille engeance? Non faccia caso; rispose il Ferrero. È stato un nostro compagno in filosofia, un amico dell'Ariberti. Ve l'ho gi

Si capisce che mandò subito i suoi padrini ai compilatori dell'ibrido giornale. Andarono questi e trovarono Ferrero, che rifiutò di battersi per un giudizio letterario. Povero a lui, diceva, se avesse dovuto dare soddisfazione sul terreno a tutti gli autori fischiati, o degni di esserlo! In quell'idea s'incocciò, ci fu verso di smuoverlo, neanche con qualche frase un po' dura.

Un diario della capitale, che propugnava una delle solite candidature universali, non potendogli ancora dir altro, perchè non lo conosceva e non ci aveva ai fianchi un Ferrero, si contentò di dargli dell'asino. Ma Ariberti si era tastato le spalle, e, non avendo sentito il basto, si era contentato di sorridere. Se non ci hanno altri moccoli, aveva detto tra , possono andarsene a letto al buio.

Quanto alle materie, non c'era fortunatamente da stillarsi il cervello. Gli scrittori abbondavano, e tra cattivo e mediocre ognuno ci aveva un sacco e sette sporte da mettere in comune. Ariberti incominciava co' suoi versi d'amore, inspirati dalla figlia del droghiere di Dogliani, ma che, con qualche ritoccatina, potevano tirarsi dal biondo al bruno, passare per roba di più prossima e più aristocratica derivazione. Ferrero dava fuori il suo viaggio in Toscana, col titolo pomposo: Tre mesi sull'Arno. Veramente, non c'era stato che un mese, e nemmeno nella incomoda postura del colosso di Rodi; ma gi

Per altro, non dovevano essere sciocchezze del tutto, perchè, alle parole del Balestra, il sarcastico Ferrero si era fatto bianco in viso come un panno lavato. Il contino gli die' una mano in buon punto, facendosi a sviare il discorso. E adesso, chiese egli, questo Bertone studier

L'Ariberti non ebbe animo di protestare contro questa nuova maniera d'ostracismo. E non era mica un giovine di cattivo cuore; anzi, bisogna dire che gli rincrescevan assai le parole del Ferrero. Ma in fondo in fondo, o come sarebbe egli stato possibile di sostener l'onore del giubbone color tabacco dell'amico Bertone? Segnatamente l

Capisco... capisco... Ma qui su due piedi... Domandate parere al Ferrero; conchiuse, come per liberarsi. È un giovinetto di ripieghi e sapr

Guarda con che gente son io, voleva dire quel saluto a fior di labbro, e crepa dalla bile. Difatti, il Priore, a cui Ferrero diede una sbirciatina curiosa, era un uomo da tirare a gli occhi della gente. Chiunque egli fosse, il suo aspetto non era d'uomo volgare. La sua conversazione, poi, era piacevolissima.

Un bel giorno, lontana essendo ancora la guerra, influendo ancora gli scienziati di Berlino, come del resto influiscono tuttora, vergognosamente, perfino sulle attribuzioni di cattedre universitarie italiane, qualcuno pensò ad affidare a Guglielmo Ferrero una cattedra di storia romana in Roma: vicino, dunque, a Giulio Beloch.

Sfido io! entrò a dire un altro della brigata. Suo padre fa il maniscalco e una sua sorella va a mezzo servizio nelle case dei signori. Del resto, aggiunse il Ferrero, a Torino è venuto certamente. Almeno, io lo credo, perchè stamane, quando sono uscito di casa, i cenciaiuoli del ghetto gridavano più allegramente che mai il loro «niente da vendere