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Poi fecero i loro conti su quello che potevano spendere, cercando di proporzionare le spese alle rendite per avere una norma, e ciascuno prese le sue abitudini. Silvio si recava ogni mattina allo studio Ruggeri, e si occupava d’affari legali sotto la direzione dello suocero, e nelle ore libere continuava a scrivere nei giornali.

Giac la guardava versargli addosso dagli occhi asciutti tutto il fuoco della sua giovinezza, sentendo di potersela pigliare solo allungando la mano. In quel discorso, tronco, pensato, furbo, dove non era altra parola che d’affari, vibrava una passione ardente, disposta egualmente a concessioni immediate ed a lunghe pazienze. Ogni parola acquistava dalla voce e dall’accento una doppia portata.

Francesco! Oh! È andato via anche lui! Un po’ di disordine nei ninnoli e nei ritratti, e niente altro. È tanto stordita! Com’è possibile? Ella sapeva l’indirizzo di questa casa, perchè è qui che io ricevo le sue lettere d’affari. Ed è venuta qui per un convegno galante! Ah, è orribile, è orribile! Francesco Carlo Niente. Francesco Come niente? Hai una certa faccia.... Carlo

Ma bada: questa non è precisamente la mia casa. Francesco Non me ne affliggo, purchè possa diventare, provvisoriamente, la casa mia. Ma, a proposito, non ti ho sempre scritto, indirizzando le lettere qui? Carlo Naturale. Io, qui, in questo grazioso bugigattolo, ricevo lettere, e ricevo... intendi? Francesco Intendo: è il tuo bureau... d’affari.

Amo l’importante maggiordomo, che mi porge la lista dei vini aperta su la pagina dello «Champagne», ed amo questa babelica folla dei Palaces cosmopoliti, ove s’incontrano a decine Ambasciatori senza governo e Principesse da sempre divorziate, uomini d’affari e ballerini di tango, qualche famosa nikilista russa e qualche ricco sfondato banchiere ebreo, cantanti e boxeurs, signorine che si addestrano al marito e clergymen che giocano al bridge, archeologi e cavalieri d’industria, signore sole con camere a due letti e principi dell’Almanacco di Gotha che ipotecan nelle bische d’Europa i dollari d’una fidanzata yankee...

²³⁷ Hager, Gemälde, p. 130. Del difetto di locande facevano ripetuti lamenti i viaggiatori, senza che nessuno sapesse o volesse darsene conto. «Il paese non ha locandedicevasi; e non si considerava che la Sicilia non sempre per molti era centro d’affari, e che per venirci occorreva una gran forza d’abnegazione, una ferma volont