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mugghiava con la voce de l’afflitto, che, con tutto che fosse di rame, pur el pareva dal dolor trafitto; così, per non aver via forame dal principio nel foco, in suo linguaggio si convertïan le parole grame. Ma poscia ch’ebber colto lor vïaggio su per la punta, dandole quel guizzo che dato avea la lingua in lor passaggio,

che' quella voglia a li alberi ci mena che meno` Cristo lieto a dire 'Eli`, quando ne libero` con la sua vena>>. E io a lui: <<Forese, da quel di` nel qual mutasti mondo a miglior vita, cinq'anni non son volti infino a qui. Se prima fu la possa in te finita di peccar piu`, che sovvenisse l'ora del buon dolor ch'a Dio ne rimarita, come se' tu qua su` venuto ancora?

E di pallore Tinte avea le belle gote: Le man tremule sul core. Le pupille al cielo immote. Stanca alfin, siccome fiore, Il bel capo rechinò, E del suo crudele amore Il dolor la consumò! La mesta canzone riempi di tristezza e di compassione il cuore di quelle donne. La buona Maria volle guidare il Romeo al castello, sicura che la sua signora l’avrebbe molto gradito.

Or son morto, o campanella Suona, suona a funerale Più non veggo la mia bella Più non palpita il mio onor Sul mio letto sepolcrale Suona i tocchi del dolor

Chi nella fievol, timida animetta Opra mutazione inaspettata, Quand'è fra il coro delle madri eletta? Di progenie d'Adamo al ciel chiamata, Grave è il sen della dianzi paventosa, E il pondo regge da dolor cruciata. Ed il porta con forza generosa! E dopo un figlio compro a tanto prezzo D'orrende angosce, altri portar pur osa!

Lo portavano a braccio due povere giovani, che per li sfregi ricevuti nel viso, esse medesime tanto soffrivano, da poter reggersi appena. A lui que’ crudeli avevan ferito in varie parti le membra, e tagliata una mano! Il dolor che provava era forte, e di sangue n’aveva perduto in tal copia, che era quasi privo di sensi.

Quando il furor de le battaglie spento pareva, chiusa in mia ferrigna tonaca più nei tugurî del dolor fui monaca, che ne la cella del mio pio convento. A papi e re proffersi con serena favella i detti della verit

Lo corpo mio gelato in su la foce trovò l’Archian rubesto; e quel sospinse ne l’Arno, e sciolse al mio petto la croce ch’i’ fe’ di me quando ’l dolor mi vinse; voltòmmi per le ripe e per lo fondo, poi di sua preda mi coperse e cinse». «Deh, quando tu sarai tornato al mondo e riposato de la lunga via», seguitò ’l terzo spirito al secondo,

O patria, quante lacrime ho sparte ricordandomi di te! non so come sia vivo per il gran dolor che ci ho patito, veggendomi lontano da te! Or quanto devo a' cieli, che pur dopo tante lagrime mi è concesso di rivederti!

Or mentre ho lingua e ingegno state sicuro. DON FLAMINIO. Comincio a respirare. PANIMBOLO. Ma mentre parlo rivocate voi stesso in voi stesso. DON FLAMINIO. O dolor o rabbia che tu sei, fa' tanta tregua con me fin che ordisca qualche garbuglio, e poi tormentami e uccidimi come a te piace. Ma dimmi, hai pensato alcuna cosa?