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OTTAV. Ma, e che t'arresta?... e che paventi?... Ancora forse hai speme? SENECA Chi sa?... Tremendo ei m'è, fin che dell'alma albergo queste misere mie carni esser veggio. Oh qual può farne orrido strazio! e s'io alle minacce, ai tormenti cedessi?

Trasvolaron frattanto i gagliardi Della mia giovinezza, e sovra mille Splendide larve io posto avea gli sguardi; E nulla oprai che d'alta luce brille! E si sprecar fra inani desidèri Dell'alma mia bollente le faville! Lamento sui fuggiti anni primieri Che d'eccelse speranze ebbi fecondi, E di ricchi d'amore alti pensieri!

Nel momento che Stefano altrove torceva il fiero cipiglio, ei riguardava la bella, nelle accese luci raccoglieva il fuoco dell'alma, e in un baleno tutti le esprimeva i sensi ascosi.

Dell'alma ardente al fulgido miraggio! Ma resta immobile, Schiava del fato, con la testa china, sa perchè tanto l'attrista il maggio; sa perchè, quando il sole declina, E malinconica Scende la sera sulle umane cose E par misterïosa la marina, Ella sente un conforto ignoto pria, Ed una languida Pace discende sullo spirto stanco E dormire per sempre ella vorrìa,

L'Adda sa bene di non poter contendere col Po, presso il quale il Monti è nato, e prima di lui Lodovico Ariosto ed il Guarini, ma pur si gloria che presso le sue rive abbia cantato un giorno Giuseppe Parini, l'Orazio lombardo. L'Adda dice: Quivi sovente il buon cantor vid'io Venir trattando con la man secura Il plettro di Venosa e il suo flagello, O traendo l'inerte fianco a stento, Invocar la salute e la ritrosa Erato bella, che di lui temea L'irato ciglio e il satiresco ghigno; Ma alfin seguïalo e su le tempie antiche Fêa di sua mano rinverdire il mirto. Qui spesso udillo rammentar piangendo, Come si fa di cosa amata e tolta, Il dolce tempo della prima etade, O de' potenti maledir l'orgoglio, Come il genio natìo movealo al canto E l'indomata gioventù dell'alma. Or tace il plettro arguto e ne' miei boschi È silenzio ed orror. Te dunque invito, Canoro spirto, a risvegliar col canto Novo rumor Cirreo. A te concesse Euterpe il cinto, ove gli eletti sensi E le imagini e l'estro e il furor sacro E l'estasi soavi e l'auree voci Gi

Laonde se Venere con le sue grazie è discesa dal cielo per goder cosí onorata compagnia di gentildonne, le quali con lo splendor de' lor occhi lucenti hanno fatto qui in terra un picciol cielo, se Marte con la sua gloria per sedersi fra questi illustri cavalieri, se Giove con la sua maiestá per starsi fra giustissimi senatori, se Mercurio con la sua eloquenza per aiutar nobilissimi rappresentatori che hanno oggi a recitarvi la favola; non vi debbia esser di maraviglia che vi compaia ancora il vostro Sebeto, picciol fiume e umile bene, ma glorioso e grande per bagnar solo le mura dell'alma cittá di Napoli.

Piantate per sempre le tende, L'affanno distende di un'ora. Ristora nel placido oblìo Lo stanco desìo, dell'alma Le crude ferite ristora. Le belle voci e il vago incantamento Aprir nel sasso la feconda vena, Che corse come un rivolo d'argento. La risorta fanciulla, a cui serena Splendea la pace nel raggiante viso, Mi die' dell'acqua colla mano piena, Reggendomi degli occhi col bel riso.

E la face crudel della contesa Fra le varie contrade Itale spegni, E ferva ognuna al comun bene intesa! E dell'alma Penisola i bei regni Di dura signoria non giaccian preda, Ne' di plebei sovvertitori ingegni! Ad ogni alta virtù l'Italo creda! Ogni grazia da Dio l'Italo speri! E credendo e sperando ami, e proceda Alla conquista degli eterni veri. Altaria tua! Domine virtutum.

E della fantasia il mesto volo, E il caldo irrompere Dei desideri immensi e trionfanti Dal cielo giunti in amoroso stuolo: E tra le varie note de' suoi canti La dolce ed unica Nota che torna sempre inesorata, Fra l'acre gaudio dei soppressi pianti E il balsamo dell'alma innamorata, E allor la fulgida Dama un sol bacio gli porrìa sulli occhi Ed ei con l'alma lieta ed affannata

Deposti i pennelli, poggiata la faccia sulla palma della mano, pensa il povero frate, con gli occhi rivolti al poema del profugo Fiorentino «a cui temprâr l'ingegno e l'amore e lo sdegno». O frate, tu gli hai detto, ammonendolo: O frate, a lui l'esilio E le pugne dell'alma: A te l'obblìo degli uomini E la cristiana calma. Perchè t'alzi a colloquio Col Ghibellin? tu piega La queta fronte, e prega.