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Campanella che rammenti Al dolente prigioniero I dolori ed i tormenti Di una vita, che finì... Deh! Riporta al mio pensiero Le speranze d'altri . Di quei , che una tranquilla Gioia al Cielo mi rapia: Fissa in Lei la mia pupilla Comprendevo la belt

NER. A mie ragion loco... POPPEA Ove son io, colei?... NER. Deh! m'odi... POPPEA Intendo; ben veggo;... io tosto sgombrerò... NER. Deh! m'odi: Ottavia in Roma a danno tuo non torna; a suo danno bensí... POPPEA Vedrai tu tosto, ch'ella vi torna al tuo. Ti dico intanto, che Ottavia e me, vive ad un tempo entrambe, non che una reggia, una cittá non cape.

Ma deh! con la innocenza sua le valga la et

|Sacontala|. Il re sia sempre... . E non può profferire la parola «vittorioso» e in un subito pianto. |Dushmanta|. Dimenticati, o cara, della mia crudele ripulsa. Mettila in bando dalla memoria. Fu una frenesia violenta che mi vinse l'anima. |Sacontala|. Sorgi, o sposo; deh! sorgi. La felicitá mia fu interrotta gran tempo. Ma tu m'ami; ed ecco in me l'affanno dar luogo alla gioia.

E qui si gettava sulla rimembranza delle serene ore giovanili, indi ripigliava: Ma coloro che possono, deh come non pensano al tanto che fanno patire?... Ah pur troppo ci pensano

Quando la Rosina ebbe ultimato il suo ragguaglio, il monaco stette lunga pezza irresoluto; volgeva in mente un progetto, non sicuro sul modo di eseguirlo. Ebbene, qual consiglio mi date voi? esclamò Rosina, tenendosi fra le mani il volto; deh! non mi negate il soccorso della vostra sapienza.

ESSANDRO. Deh, perché mi burli e aggiungi beffe a beffe? PANURGO. Allegrati della mia allegrezza adesso, come io mi son allegrato della tua: ch'io ho ritrovato mio figlio. ESSANDRO. Chi è tuo figlio? PANURGO. Vieni in casa e lo saprai, ch'io non vo' tanto prolungar il tempo che possi abbracciare e stringere la tua Cleria piú che una tanaglia.

Bella fra tutte umane imprese è quella Dell'uom che avvampa di desìo di pace E di perdon, non per suo proprio bene, Ma per altrui! ma per servire a Dio, Ed alla dolce patria e ad infelici Cuori ch'egli ama e consolare anela! Tal nell'ire civili è il vostro uficio, O vegliardi autorevoli che all'ara Del Dio di pace consecraste i giorni! Ecco arrivare al campo Ugo e Maria: E mentre del marchese al padiglione Van rivolgendo accelerati i passi, Veggono appunto da catena stretto A fisso legno fra custodi Arrigo. Con qual pianto e quali impeti di grida Prorompe la fanciulla infra le care Braccia paterne! e qual celeste han suono Sue filïali tenere parole A genitor così infelice? Ei serra Al sen quella innocente; e sclama: Oh gioia! Ma insana gioia! Oh nuovi affanni orrendi! Deh, perchè a me non li sparmiava Iddio? Non misero abbastanza era il mio fato, Ugo crudel? Tu qui la figlia traggi A vedermi morir! Padre, ei mi tragge A salvare i tuoi . Che? supplicando Codardamente il vincitor maligno Di largirmi il perdon? Non sar

108 Sobrin gli era a man manca in ripa a Senna, con Pulian, con Dardinel d'Almonte, col re d'Oran, ch'esser gigante accenna, lungo sei braccia dai piedi alla fronte. Deh perché a muover men son io la penna, che quelle genti a muover l'arme pronte? che 'l re di Sarza, pien d'ira e di sdegno, grida e bestemmia e non può star più a segno.

Deh! che il cinismo non innalzi la sua bandiera; e che non si creda pur un istante ch'io voglia rinnegare il sentimento. Ma poi che so che a questo solo patto mi sar