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Non ci pensate, disse Damiati, al caso gli lasceremo qualche moneta; poi fece loro ammirare il bellissimo paesaggio che si vedeva da quel posto: di faccia una fila di colline verdeggianti intersecato da strade che formavano delle righe bianche, poi giù una valle sparsa di paeselli con un torrente che scendendo dallo montagne l'attraversava e sul quale stavano in certi punti sospesi dei ponticelli pittoreschi.

Tutti si misero a ridere e il professore disse a Vittorio: Prova tu, vediamo se hai più coraggio. Vittorio si fece innanzi ubbidiente e passò in mezzo a quelle bestie come se nulla fosse, seguito dagli altri, che dopo il suo esempio non vollero esser da meno di lui. Vedete, disse Damiati, che non c'è da temere, quelle sono le bestie più docili che ci siano, basta non spaventarle.

Il professore doveva essere un mago, aveva proprio indovinato: Mario faceva il ritratto del Damiati in piedi su un pulpito, in atto di predicare. Il professore Damiati, la mattina dopo, mentre un bel sole di autunno indorava la cima delle colline e le goccie di rugiada tremolavano sull'erba dei prati, chiamò, passando da casa Morandi, i ragazzi per condurli a passeggiare sulla collina.

Ora deve star qui tanti anni con noi, non dobbiamo pensare a malinconie, dissero in coro i ragazzi. Anzi, soggiunse il Damiati che avea terminato di ripassare il compito di Carlo, la signorina Maria dovrebbe raccontarci le avventure d'un altro piccolo eroe. Questa sera, no, disse Maria, una bella figura farebbero i miei eroi dopo i discorsi del quarant'otto! Se volete v'invito per domani sera.

Mario s'era posto a disegnare colla matita in mano e l'album aperto, ma dopo due o tre tentativi inutili per copiare il paesaggio si contentò di fare la caricatura di Carlo che fuggiva inseguito da un vitello perdendo lungo la via il paniere della colazione, e disse: È inutile, io non sarò altro che un pittore caricaturista. Chi sa che cosa diverrai! disse Damiati.

Quando don Vincenzo parlava del quarant'otto, Carlo pregava Damiati di sospendere la lezione e s'avvicinava con tanto d'orecchi alla tavola, dove le ragazze lavoravano, e il prete ricominciava per la centesima volta i suoi racconti, ma sempre animandosi, gesticolando in modo che pareva avessero la virtù di levargli una ventina d'anni dalle spalle.

Maria parlava invece col professore Damiati domandandogli consigli sul modo d'educare i ragazzi, sempre preoccupata dal pensiero dei cinque figliuoli, e quando la salutò sull'uscio di casa essa gli raccomandò di venire spesso la sera a trovarli insieme a don Vincenzo. La loro conversazione sar

Più tardi videro passare il professore Damiati e Carlo si fece coraggio per chiedergli d'accompagnarli fino al villaggio. Volentieri, disse il professore, se vostra sorella lo permette. Visto che andavano col professore, Maria non aveva più nulla a ridire, e i tre ragazzi tutti contenti, presero il cappello e s'avviarono assieme al Damiati.

Egli, dicendo queste parole, avea quasi le lagrime agli occhi; ma diede un sospirone di sollievo, e alzandosi soggiunse: Ora è finita, non pensiamoci più, parliamo d'altro. Cambiarono discorso, ma per un po' di tempo continuarono a chiacchierare dei fatti del giorno; intanto entrò don Vincenzo assieme a Damiati, anch'essi a rallegrarsi che tutto stesse per finir bene.

Aveva appena lette le prime parole, che entrò don Vincenzo assieme al professore Damiati. Continui pure, dissero. Maria voleva sospendere la lettura dicendo che erano storielle scritte per i ragazzi e non potevano interessare persone come loro. Ma non ci fu verso, vollero che continuasse, altrimenti minacciavano di andarsene.