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«No, non ha vinto il Provenzale; egli ha varcato il confine, come il mercante che dal contado romano trapassa nel Regno: sieno esse queste le sue glorie! non gliene serbi il destino diverse! questo desideriamo, questo speriamo, questo con ogni intento nostro faremo. Esalti nella grossezza della mente la vergogna di fatta vittoria; a lui non concessero i cieli neppure il pudore, che non manca al ribaldo, di godersi in silenzio il frutto dell'infamia: certo, se così non vince, altramente non vince; conosce al mondo qual guerriero è costui: stanno in Egitto le memorie delle sue imprese, dove seppe ricomprare a contanti ¹ una vita che non aveva saputo spendere combattendo per Cristo. Oh! causa di Dio in quali mani affidata! Poco era il dolore dei Fedeli nel vedere il tuo santo sepolcro in mano dei cani, che tu dovessi aggiungervi il molto più grave di farti contaminare la venerata bandiera da cotesto masnadiero francese? Male si conquistano i Regni con le arti; cammino di sicurezza, bensì di vituperio, è quello del tradimento. Su la via che conduce alla reale Napoli ora sorge Manfredi, armato della spada dello Imperatore Federigo, preceduto dall'Aquila, usa per tanti anni di vittoria a riposarsi nel padiglione dei vinti, ricinto dai fedeli Baroni, che a palmo a palmo ricuperarono prima, e poi gli donarono il Regno. Diverse battaglie ti si apparecchiano adesso dalle tue provenzali: qui non sono vassalli difesi dalla sola innocenza, qui non Baroni tutelati dalla sola giustizia; certo, se queste sole ci assicurassero, ora noi ci daremmo per vinti; tu sei invincibile, e la gente lo sa, contro la innocenza: ma noi assicurano diecimila tra Pugliesi e Tedeschi, tutti i Saraceni di Lucera, mirabile quantit

A te il genio, a te il cor, tu sei la sola, Sei luce, gloria sei, potenza e vita; Sei del Signor la tenera Parola A me ne l'ombra susurrata e udita. L'indomani mattina, uscendo dall'Aquila Nera, m'incontrai faccia a faccia col professore Topler, che veniva a riparlarmi dei libri italiani. Mi crucciai in cuor mio che suo fratello non gli avesse ancor detto niente.

Avrebbe incontrato quello che andava cercando, perchè distinto dall'Aquila d'argento che portava per cimiero, contro di essa si sarieno rivolte le spade nemiche, se una nuova gente, da lui mai più veduta, sboccando dalla via che mena alla porta dell'Abruzzo, non lo avesse circondato gridando: Svevia! Svevia!

Il suo capo di roccia pare debba essere abitato appena dall'aquila. Niuna luce vi fa piovere lo scintillío delle stelle che paiono di acciaio tersissimo. Non un albero, non una pianticella, non un filo d'erba. Roccia angolosa, arida, dura, quasi livida di collera. Silenzio profondo, il silenzio delle altitudini. Sotto, l'Jonio rumoreggia, si rompe contro la parete dello scoglio.