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Osa pur, osa; il freno sol che avanza, togli a Neron; ne proverai tu prima i tristi effetti. Inutil tutto è il sangue, che alle fatali nozze tue fu sparso, se aggiunger v'osi oggi d'Ottavia il sangue. Mira Agrippina: ella il feroce figlio amava , ma il conoscea; il volle mai dall'angoscia del rival fratello liberar, mai.

Il novel che sorge, compiuto forse non sará, che fermo fia d'Ottavia il destino, e appien per sempre. TIGEL. E queta io spero ogni altra cosa a un tempo, ove mostrar pur vogli Ottavia al volgo rea, quanto ell'è. NER. Poich'io l'abborro, è rea, quanto il possa esser mai. Degg'io di prove avvalorare il voler mio? TIGEL. Pur troppo.

Certo, se Ottavia or trionfasse, a noi verria gran danno; ma, Neron mi affida. Troppo è il suo sdegno; troppa è l'innocenza d'Ottavia; scampo ella non ha. Grand'arte oggi adoprar con esso emmi pur d'uopo: al suo timor dar nome di consiglio provido; e fargli, a stima anco dei saggi, parer giustizia ogni piú ria vendetta. Signor del mondo, io ti terrò; sol io terrotti, e intero.

Pur, grand'arte esser vuole: io fei piú grida sparger fra 'l volgo: or, che ti appresti forse a ripigliare Ottavia; ov'ella possa d'alcune taccie di maligne lingue purgar sua fama: or, che gli oltraggi insani fatti a Poppea, destato a nobil ira aveano il cor d'Ottavia stessa; e ch'ella di pace in Roma apportatrice riede, non di scompiglio...

POPPEA Tutto conosci, fuorché te stesso. SENECA Al mio morir vedrassi, s'io me pure conobbi. Odimi intanto, odimi, prego. A tua rovina or corri col bramar troppo tu d'Ottavia i danni. Roma te sola e del ripudio incolpa, e dell'esiglio suo: se infamia, o pena maggior le tocca, ascritta a te fia sempre. Quindi l'odio di te, giá grave, in mille doppj or si accresce, e il susurrare.

Tener non puoi quest'empia plebe ancora in quel non cal, ch'ella pur merta. Ai roghi d'Agrippina, e di Claudio, è ver, si tacque: tacque a quei di Britannico: eppur oggi d'Ottavia piange, e mormorar si attenta. Svela i falli d'Ottavia, e ogni uom fia muto.

Da' suoi torbidi amici appien disgiunta, quí di mie guardie cinta la vedrai, non tua rival, ma vil tua ancella: e in breve, s'io del regnar l'arte pur nulla intendo, ella stessa di se palma daratti. POPPEA Comun periglio oggi corriam; noi dunque oggi cercare, o Tigellin, dobbiamo comun riparo. TIGEL. E che? d'Ottavia temi?...

POPPEA Che che ne avvenga, Roma sappia or da te, ch'io non ti ho chiesto sangue ad espiare il ricevuto oltraggio; benché a soffrir grave mi fosse. Ardisce pur crude mire la ria plebe appormi: e costui pure, il precettor tuo, m'osa ciò appor, bench'ei nol creda. Io te, mio primo Nume, ne attesta: il sai, s'altro ti chiesi, che l'esiglio d'Ottavia.

POPPEA E s'anco il pur giunge, ove tu palma abbi d'Ottavia, e della plebe a un tempo, odio pur sempre ne trarrai, non poco. E allor; chi sa? ne incolperesti forse la misera Poppea. Quel ch'or mi porti verace amor, chi sa se in odio allora nol volgeresti, ripentito? Oh cielo!... A un tal pensier di tema agghiaccio.