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MASTICA. Ti porto cosa miglior di questa. LAMPRIDIO. Che cosa mi potrá esser piú cara e miglior di questa? Parla presto: che nuova m'apporti d'Olimpia? MASTICA. Nulla, ma lei tutta insieme. Lampridio, perpendi gl'inganni, non credere, son tutte nughe. LAMPRIDIO. Dimmi, Mastica, dove mi porti Olimpia? PROTODIDASCALO. Se non la porta dentro quel suo tumido ventre, ignoriamo dove la porti.

Oh che mercanzia muta, oh che alchimia non conosciuta, dove con poche parole si fanno molti scudi! E poiché son consapevole de' fatti d'Olimpia, la terrò sempre soggetta e la farò fare a voglia mia; e come Lampridio pone la botte a mano, ne faremo bere qualche voltarella da alcuno di tanti assassinati dall'amor suo.

LAMPRIDIO. S'Olimpia m'ama io sto benissimo, se non m'ama io sto assai peggio che morto: non sai tu ch'ella è l'anima mia? non amandomi come potrei viver senz'anima? sarei un che vivesse morendo sempre. PROTODIDASCALO. Larva d'uomo. LAMPRIDIO. Lasciam questo: che sai d'Olimpia mia?

LAMPRIDIO. O Giulio fratello, ché persona piú desiderata non arei potuto incontrar oggi! GIULIO. Dio vi salvi e vi dia mille buon giorni! LAMPRIDIO. Un solo basteria a farmi felice. GIULIO. Se soverchiano a voi siano per i vostri compagni; a voi, Protodidascalo. PROTODIDASCALO. Oh come optatissimo ti obietti agli occhi nostri! LAMPRIDIO. Che sai d'Olimpia mia?

GIULIO. Rispondete al saluto prima e dite: Dio vi aiuti e salvi! e poi mi dimandate d'Olimpia. LAMPRIDIO. Come può mandarvi salute chi è privo d'ogni salute? GIULIO. Or dite come stiate. LAMPRIDIO. Dillomi tu, fratello, com'io stia, che lo sai meglio di me. GIULIO. Come?

Perché mi parli cosí mozzo? parla col tuo malanno! LALIO. O Dio, che se lo dico, Olimpia ha giurato di volermi ammazzare. SENNIA. E se non lo dici, ti ammazzarò or ora. Quello d'Olimpia ha da venire, ma il mio sará adesso, al presente. LALIO. Io non lo dico, avertete. Quando voi mi diceste che stessi in camera, io me ne uscii per vergogna. SENNIA. Di che cosa? LALIO. Di quel che viddi.

BALIA.... Sennia intanto, la madre d'Olimpia, trattò matrimonio col capitan Trasilogo nostro vicino; e come quello che ne stava innamorato, s'accordò subito: talché s'inviò a chiamare Olimpia, ché fusse ritornata a Napoli.

Eccellentissimo principe, onoratissime gentildonne e voi generosissimi spettatori che tratti dalla fama della bellezza d'Olimpia che cosí ha nome questa comedia con degno apparato, con grato silenzio e con benigna udienza state attendendo questa sua venuta, eccola che mi siegue: non mai verrebbe fuora s'io prima di lei non uscissi.

67 Le bellezze d'Olimpia eran di quelle che son più rare: e non la fronte sola, gli occhi e le guance e le chiome avea belle, la bocca, il naso, gli omeri e la gola; ma discendendo giù da le mammelle, le parti che solea coprir la stola, fur di tanta eccellenza, ch'anteporse a quante n'avea il mondo potean forse.

SQUADRA. Fermatevi, padrone, ché vien Mastica e un giovanetto, qual stimo il romano. Ascoltiamo un poco: forse ragionano su questo fatto. MASTICA. Anzi or veniva insino a Salerno a recarti la piú lieta novella che tu avessi avuta giamai. LAMPRIDIO. Perdonami se a torto mi sono adirato teco. MASTICA. Conosci tu questa lettera? LAMPRIDIO. Oimè, d'Olimpia mia!